una storia, una notizia, o qualunque cosa valga la pena di essere raccontata



lunedì 28 settembre 2015

Così "parlò " il giornalista...




.....PER LA CRONACA IL GIORNO DOPO LA PARTITA è FINITA
CON IL RISULTATO : INTER 1 - FIORENTINA 4

e CON MIRANDA ESPULSO.


Così "parlò " il giornalista... 

ZANZAPENSIERI



Sono stato al KM 0
ma di nocipesche, mele annurche, noccioline, kiwi, friarielli e pomodorini nessuna traccia...

Incomincio a pensare che il Biologico è una fregatura.

(zZz)


martedì 22 settembre 2015

NOI SIAMO.....PADRONI DEI NOSTRI BALCONI

“Hibbo scores, we riot/Se Hibbo segna, facciamo un casino”.



STORIE DI CALCIO –
“Hibbo scores, we riot/Se Hibbo segna, facciamo un casino”.
 Successe davvero, e i tifosi scesero in campo…

“Per quanto tu possa essere razionale, ci sarà sempre una favola alla quale finirai per credere”.
 Il calcio è una di queste. Perchè travalica i confini della logica, portandoci spesso a vivere e a essere testimoni di storie belle e talvolta struggenti, non per forza a lieto fine. In questa nuova rubrica di spazionapoli.it ne racconteremo qualcuna, provando a sbirciare dietro le quinte del palcoscenico verde: giacchè non tutto si esaurisce lì. E dietro quel pallone che rotola in un campo, ci sono spesso storie che possono insegnare qualcosa. O che vanno semplicemente tramandate, affinchè non se ne perdano mai le tracce. Buona lettura.

Tony Hibbert è un difensore dell’Everton che non ha avuto una carriera brillante, ma che a suo modo ha scritto una pagina importante della storia del suo club e, perchè no, del calcio in generale. Nato a Liverpool il 20 febbraio 1981, cresce calcisticamente con l’Everton, dove fa tutta la trafila nelle giovanili, fino all’esordio in prima squadra nel 2001. Nasce come centrocampista, ma la tecnica non propriamente sopraffina (giusto per usare un eufemismo) lo porta presto a spostarsi sulla fascia destra, dove diventa un giocatore affidabile, poca apparenza e tanta sostanza. Insomma, uno di quelli che un allenatore vorrebbe sempre avere in rosa: attaccamento alla maglia, predisposizione al sacrificio, tanta corsa e voglia di migliorarsi. Anche se i piedi sono quello che sono. E non è un caso che con i Toffees, fino al 2012, non avesse segnato nemmeno un gol. Era diventata quasi una leggenda, al punto che i tifosi avevano inventato un coro che era più che altro un manifesto: “Hibbo scores, we riot”. “Se Hibbo segna, facciamo un casino”. Arrivò il momento di mantenere la parola.

L’8 agosto 2012 l’Everton scende in campo a Goodison Park per un testimonial match con l’Aek Atene. Al 54′ il risultato è già al sicuro: 3-1 per i padroni di casa. In quel preciso istante l’arbitro fischia un fallo a favore dell’Everton: punizione da una distanza di 25 metri circa. Sul pallone si apposta proprio lui, Hibbert. E il coro parte forte: “Hibbo scores, we riot”.

A questo punto il calcio diventa magia: il tiro di Hibbert è una sassata rasoterra che passa attraverso le gambe della barriera avversaria e finisce nell’angolino alla destra del portiere. E il casino succede davvero, nel senso buono del termine ovviamente: al diavolo la partita (in fondo era un’amichevole), al diavolo le leggi inglesi tanto restrittive, al diavolo gli steward. Tutti in campo: i tifosi si riversano sul prato per abbracciare il loro idolo. Una manifestazione d’affetto così sincera che sorprende tutti, protagonista compreso. La genuinità dei sostenitori inglesi si manifestò così quella sera, circondando in un unico grande abbraccio il loro Tony Hibbert. Che, per inciso, da allora non ha mai più segnato. In fondo, una magia è tale quando accade solo una volta.

FONTE Vincenzo Balzano Twitter: @VinBalzano
SPAZIONAPOLI

scaccialazanzara.blogspot.com

E io intanto, in vista del mondiale mi alleno. Più per il terzo tempo però.



In questi giorni ho parlato e molto di rugby con degli amici scozzesi. Ecco perché posso dire con assoluta certezza che Francesco Volpe aveva ragione:
" Gli inglesi giocano a rugby perché lo hanno creato, invece gallesi, irlandesi e scozzesi perché
legnando gli inglesi in qualsiasi altro modo, finirebbero in galera."


E io intanto, in vista del mondiale mi alleno. Più per il terzo tempo però.

A Napoli la prima "RADIOCRONACA"



A Napoli la prima "RADIOCRONACA"


(.. ) Era il 23 giugno del 1929, a Milano si disputa lo spareggio per l' ammissione alla serie A tra Napoli e Lazio, e l' ansia dei tifosi partenopei, rimasti in citta', per i destini della squadra fu mitigata dall' intuizione del:" Mezzogiorno Sportivo". La sede della redazione del giornale affacciava su Piazza Trieste e Trento.
Da Milano era collegato un inviato che, telefonicamente, aggiornava i colleghi sull' evoluzione della partita. Michele Buonanno, segretario del Napoli e apprezzato stenografo, riscriveva il tutto e, attraverso un usciere, lo passava a Felice Scandone, altro noto giornalista che, dal balcone informava la folla radunata per l' evento. Prima segnò Spivach per la Lazio, poi i tifosi azzurri esultarono come se fossero allo stadio per i gol di Gondrano Innocenti e di Sallustro. La partita si chiuse sul 2-2 e non fu disputato un altro spareggio perché la serie A fu poi estesa a 18 squadre.


(Fonte 1001 storie e curiosità sul grande Napoli che dovresti conoscere)

SORRENTO/FOTO E STORIE

Capo di Sorrento, Villa romana:
litografia settecentesca dei ruderi (James Taylor; 1745-1797)

SORRENTO: L' ARCIVESCOVO RIBELLE CHE SFIDÒ CASA SAVOIA.



SORRENTO:
L' ARCIVESCOVO RIBELLE CHE SFIDÒ CASA SAVOIA.


Mons. Giuseppe Giustiniani fu Arcivescovo di Sorrento dal 1886 al 1917. Il suo nome oltre ad essere legato alla costruzione della "Casa di Riposo di Sant'Antonio" è rimasto famoso per un "incidente" che gli valse l' appellativo di :
"Arcivescovo ribelle ".


Si era nel 1899, si celebrava il centenario della Repubblica Partenopea ed il sacerdote Gaetano Parancandolo, storico vicano, aveva ricordato, a Casapulla, l' ultimo vescovo di Vico Equense, Mons. Michele Natale, che pur beneficiato da Ferdinando di Borbone, aveva aderito alla rivoluzione, e finito alla forca in Piazza del Carmine a Napoli (perché scoperto mentre tentava di fuggire). Lo stesso oratore aveva terminato il discorso affermando:

"Levate alta la voce e dite a tutti: una è la nostra fede, una la nostra patria, una la nostra bandiera: Dio, Italia, Savoia".

L' Arcivescovo di Sorrento, il 27 agosto dello stesso anno, aveva presieduto la cerimonia eucaristica nella chiesa parrocchiale di Vico, per la celebrazione in onore di S. CIRO patrono della città. Come di consueto dopo la cerimonia religiosa, le autorità presenti si recarono, nella sagrestia, per ossequiare il presule. Fra di esse c'era anche il Parascandolo che si avvicinò all' arcivescovo per il bacio del sacro anello, ma si vide ritrarre la mano ed apostrofato :

"Andate a baciare la mano all' Italia e a Casa Savoia. "
Questo episodio denunziato dall' ex maresciallo dei carabinieri, S. Guagnini, provocò un inchiesta che sfociò in un provvedimento di sequestro della temporalità della mensa arcivescovile. L' evento provocò la solidarietà di molti vescovi italiani che elagirono una parte dei loro proventi in favore del collega sorrentino, contemporaneamente al sostegno economico offerto dal Capitolo diocesano e raccolto da una pubblica sottoscrizione.
La contestazione, in data 6 dicembre dello stesso anno, sfociò nella revoca dell'improvvido ed eccessivo provvedimento e la restituzione di quanto sequestrato : la punizione si volse in un trionfo per l'arcivescovo che ricevette lettere, non solo dalla diocesi e dall'Italia, ma anche dall' estero.
E Mons. Giustiniani con le offerte ricevute realizzò l' organo monumentale che, ancor oggi decora la chiesa Cattedrale di Sorrento.
Il grande arcivescovo sorrentino volle essere sepolto "con i suoi poveri" nella chiesetta di Sant'Antonio, dove il 19 marzo 1935 i sorrentini celebrarono il centenario della nascita.

‪#‎Fonte‬ "Sorrento si presenta" di A. Cuomo

scaccialazanzara.blogspot.com

lunedì 14 settembre 2015

ROBERTO "RAMBO" POLICANO

Roberto Policano detto "Rambo" dopo un lungo corteggiamento nel 1992 si trasferisce finalmente dal Torino all’ombra del Vesuvio e inizia un’esperienza che durerà 5 anni. Indossa la maglia azzurra in 90 matches e segna 12 reti. Un episodio curioso è quello accaduto nella stagione 1992-1993 durante la partita Napoli-Atalanta. L’allenatore è Ottavio Bianchi. Quando il mister decide di optare per un cambio che possa sbloccare lo 0-0, si rende conto di non avere punte a disposizione sulla panchina. L’allenatore bresciano, allora, azzarda Policano centravanti. Mossa che si rivela azzeccatissima, perché “Rambo” segna il goal vittoria per gli azzurri, vittoriosi per 1-0 sui bergamaschi.
(VESUVIO ON LINE.IT)

ZANZA PENSIERI (SPARSI)


In mezzo al mare, là dove non esiste la guerra tra pay Tv, e il tifoso da tastiera non può scrivere post al vetriolo e arriva solo il segnale di una radiolina, il Calcio si scrolla da dosso l' aria da sfigato tronista, e scrutando l'orizzonte ritorna a mostrare il suo lato romantico. Come quei vecchi pescatori, dalle rughe scolpite dal vento e dal sale.

(zzZ)

LA CRAVATTA ROSSA CHE SFIDO' IL REGIME



Nel 1985 Carlos Caszely attaccante della ROJA, insieme ad altri sportivi cileni venne invitato ad un incontro con Pinochet.
Carlos si presentò al dittatore indossando una vistosissima cravatta rossa. Pinochet vedendolo sobbalzo' e gli disse irritato:" Lei, con quella cravatta rossa! Non se ne separa mai eh? ". Caszely guardandolo negli occhi rispose:
" Mai presidente, la tengo sempre vicina al mio cuore. "
E il dittatore, facendo il gesto di una forbice: 
" Gliela taglierei qui e adesso quella maledetta cravatta rossa. "


(Carlos Caszely "il re del metro quadro" che con una cravatta rossa sfidò il regime di Pinochet)

Fonte : Julian Ross
scaccialazanzara.blogspot.com

Ciò che voglio é solo il meglio per la mia gente. COSI' PARLO' PEP



"Se ci fosse stata una nazionale catalana avrei giocato per quella. Tutto ciò che facciamo nella nostra vita ha un senso politico. Perché non posso difendere la mia opinione? Mi hanno chiesto di partecipare alle elezioni per l'indipendenza della Catalogna e lo faro'. Se a qualcuno questo da fastidio e' solo un problema suo.
Ciò che voglio é solo il meglio per la mia gente. "


-Pep Guardiola.


‪#‎ZZz‬

martedì 8 settembre 2015

LA NOTTE DELLE SETTE STREGHE:"Ralle, ralle, mastu Giuseppe, invece e' seje simme sette"



Diverso tempo fa  a Meta di Sorrento vi viveva un giovane pescatore di nome Franco, conosciuto da tutti affettuosamente come Ciccio. Moro, piccolo di statura, non bellissimo ma molto simpatico. Spesso girava di casa in casa a cantare e non vi era festa alla quale non prendesse parte. Faceva il pescatore e, munito della sua barca di mogano, si recava ogni mattina all'alba a lavorare.

Giunta la sera, riportava a riva la barca, la ricopriva e, fischiettando, tornava a casa. Una mattina andò alla spiaggia di Alimuri, dove la sera prima aveva posato la barca, ma con grande stupore non la trovò. Girò in lungo e in largo, salvo poi ritrovarla finalmente a circa 200 metri di distanza dal luogo in cui l'aveva lasciata la sera precedente.

Lì per lì pensò che si fosse trattato dello scherzo di qualche buontempone. Ma il fatto accadde ancora per tre giorni consecutivi. Franco pensò quindi di acciuffare il burlone che ogni notte, a sua insaputa, utilizzava la sua imbarcazione. Una sera decise così di nascondersi proprio sotto la sua barca. Era una notte buia e fitta. Il cielo era cosparso di stelle splendenti nella volta celeste. I versi di una civetta a fare da sfondo. Il rumore del mare che riempiva l'aria. Tutt'intorno un silenzio di tomba e un'aria spettrale. La notte trascorreva lentamente. A mezzanotte, scoccati i rintocchi della piccola cappella di Santa Lucia, si udirono dei rumori. Franco vide sette ombre in lontananza.

Strane figure che parevano tanto appartenere alle cosiddette janare, ovvero quelle streghe alle quali in paese nessuno aveva mai voluto dar credito. Un brivido di paura scosse il corpo del pescatore, che iniziò quindi a sudare rannicchiandosi impaurito sotto la sua barca. Come le streghe si avvicinarono, ebbe modo di osservarle da vicino. Erano vestite con sottane bianche lunghe fino alle caviglie, unghie altrettanto lunghe e capelli spettinati.

La capo-strega, la più brutta di tutte, una volta salita sulla barca, impartì l'ordine di partire: "Ralle, ralle, mastu Giuseppe, invece e' seje simme sette". Ma la barca non si spostava, dato che soltanto un numero dispari di persone imbarcate su di essa riusciva a farla muovere: erano invece in otto, considerando anche Franco lì sotto nascosto. Una delle streghe però se ne accorse, riferendolo alla capo-strega.

Indignata per l'osservazione, quest'ultima ribadì il fatto che fossero in sette. Ma la strega volle insistere, mostrandole persino il nascondiglio in cui si era rifugiato Franco. Scoperto, il povero pescatore fu pestato a sangue coi remi della barca; le botte furono talmente dure da lasciarlo storpio.

Abbandonato dalle sghignazzanti streghe sulla spiaggia, Franco le vide volare letteralmente via con la sua barca. Il giorno dopo, un amico lo ritrovò su quella spiaggia quasi senza vita. Lo caricò così su un carretto, lo riportò immediatamente a casa e lo mise a letto.

Col passare del tempo, Franco confidò all'amico l'increscioso accaduto. Ma quando gli abitanti del paese lo vennero a sapere, vi risero sopra. Nonostante la generale incredulità, Franco riuscì a dimostrare a tutti come il fatto fosse realmente accaduto, mostrando loro infatti un ramo di palma trovato sulla barca. Da allora in poi, la gente lo chiamò "Ciccio 'o stuorto".




FONTE: STORIE E LEGGENDE

MICHELE O' STUORTO: Il Sivori di Sorrento. E la sua micidiale SPALLATA.



MICHELE O' STUORTO: Il Sivori di Sorrento. E la sua micidiale SPALLATA.

Michele Esposito è stato sempre ritenuto dai compagni della sua epoca uno dei più forti calciatori sorrentini di tutta la sportiva della città. Fratello di Mario e Salvatore detto "Chiachione" altri due protagonisti del calcio a Sorrento fino agli anni '50, Michele era imbattibile nel gioco aereo. Saltava come una molla. Il suo segreto era nel rudimentale sistema di allenamento, da egli stesso brevettato. Si metteva di fronte a un muro, saltava ripetutamente e, ogni volta, accompagnava il gesto con una spallata contro la parete. E proprio la spallata, gli consentiva tante volte in campo, di superare gli avversari sulle palle alte. Chi racconta oggi del talento di Michele, arriva a paragonarlo con le debite proporzioni a Omar Sivori. Con cui lo accomunava anche una certa somiglianza fisica.


[ Il Calcio a Sorrento---Settant'anni di storia di Antonino Siniscalchi e Gianni Siniscalchi. ]

mercoledì 2 settembre 2015

L'UOMO BIANCO IN QUELLA FOTO



L'UOMO BIANCO IN QUELLA FOTO

Le fotografie, a volte, ingannano.
Prendete questa immagine, per esempio.
Racconta il gesto di ribellione di Tommie Smith e John Carlos il giorno della premiazione dei 200 metri alle Olimpiadi di Città del Messico e mi ha ingannato un sacco di volte.
L’ho sempre guardata concentrandomi sui due uomini neri scalzi, con il capo chino e il pugno guantato di nero verso il cielo, mentre suona l’inno americano. Un gesto simbolico fortissimo, per rivendicare la tutela dei diritti delle popolazioni afroamericane in un anno di tragedie come la morte di Martin Luther King e Bob Kennedy.
È la foto del gesto storico di due uomini di colore. Per questo non ho mai osservato troppo quell’uomo, bianco come me, immobile sul secondo gradino.


L’ho considerato una presenza casuale, una comparsa, una specie di intruso. Anzi, ho perfino creduto che quel tizio – doveva essere un inglese smorfioso – rappresentasse, nella sua glaciale immobilità, la volontà di resistenza al cambiamento che Smith e Carlos invocavano con il loro grido silenzioso.
Invece sono stato ingannato.
Grazie a un vecchio articolo di Gianni Mura, oggi ho scoperto la verità: l’uomo bianco nella foto è, forse, l’eroe più grande emerso da quella notte del 1968.
Si chiamava Peter Norman, era australiano e arrivò alla finale dei 200 metri dopo aver corso un fantastico 20.22 in semifinale. Solo i due americani Tommie “The Jet” Smith e John Carlos avevano fatto meglio: 20.14 il primo e 20.12 il secondo.
La vittoria si sarebbe decisa tra loro due, Norman era uno sconosciuto cui giravano bene le cose. John Carlos, anni dopo, disse di essersi chiesto da dove fosse uscito quel piccoletto bianco. Un uomo di un metro settantotto che correva veloce come lui e Smith, che superavano entrambi il metro e novanta.
Arrivò la finale e l’outsider Peter Norman corse la gara della vita, migliorandosi ancora. Chiuse in 20.06, sua prestazione migliore di sempre e record australiano ancora oggi imbattuto, a 47 anni di distanza.
Ma quel record non bastò, perché Tommie Smith era davvero “The jet” e rispose con il record del mondo. Abbatté il muro dei venti secondi, primo uomo della storia, chiudendo in 19.82 e prendendosi l’oro.
John Carlos arrivò terzo di un soffio, dietro la sorpresa Norman, unico bianco in mezzo ai fuoriclasse di colore.
Fu una gara bellissima, insomma.
Eppure quella gara non sarà mai ricordata quanto la sua premiazione.

Non passò molto dalla fine della corsa perché si capisse che sarebbe successo qualcosa di forte, di inaudito, al momento di salire sul podio.
Smith e Carlos avevano deciso di portare davanti al mondo intero la loro battaglia per i diritti umani e la voce girava tra gli atleti.
Norman era un bianco e veniva dall’Australia, un paese che aveva leggi di apartheid dure quasi come quelle sudafricane. Anche in Australia c’erano tensioni e proteste di piazza a seguito delle pesanti restrizioni all’immigrazione non bianca e leggi discriminatorie verso gli aborigeni, tra cui le tremende adozioni forzate di bambini nativi a vantaggio di famiglie di bianchi.
I due americani chiesero a Norman se lui credesse nei diritti umani.
Norman rispose di sì.
Gli chiesero se credeva in Dio e lui, che aveva un passato nell’esercito della salvezza, rispose ancora sì.
“Sapevamo che andavamo a fare qualcosa ben al di là di qualsiasi competizione sportiva e lui disse “sarò con voi” – ricorda John Carlos – Mi aspettavo di vedere paura negli occhi di Norman, invece ci vidi amore”.
Smith e Carlos avevano deciso di salire sul podio portando al petto uno stemma del Progetto Olimpico per i Diritti Umani, un movimento di atleti solidali con le battaglie di uguaglianza.
Avrebbero ritirato le medaglie scalzi, a rappresentare la povertà degli uomini di colore. E avrebbero indossato i famosi guanti di pelle nera, simbolo delle lotte delle Pantere Nere.
Ma prima di andare sul podio si resero conto di avere un solo paio di guanti neri.
“Prendetene uno a testa” suggerì il corridore bianco e loro accettarono il consiglio.
Ma poi Norman fece qualcos’altro.
“Io credo in quello in cui credete voi. Avete uno di quelli anche per me?“ chiese indicando lo stemma del Progetto per i Diritti Umani sul petto degli altri due. “Così posso mostrare la mia solidarietà alla vostra causa”.
Smith ammise di essere rimasto stupito e aver pensato: “Ma che vuole questo bianco australiano? Ha vinto la sua medaglia d’argento, che se la prenda e basta!”.
Così gli rispose di no, anche perché non si sarebbe privato del suo stemma. Ma con loro c’era un canottiere americano bianco, Paul Hoffman, attivista del Progetto Olimpico per i Diritti Umani. Aveva ascoltato tutto e pensò che “se un australiano bianco voleva uno di quegli stemmi, per Dio, doveva averlo!”. Hoffman non esitò: “Gli diedi l’unico che avevo: il mio”.
I tre uscirono sul campo e salirono sul podio: il resto è passato alla storia, con la potenza di quella foto.
“Non ho visto cosa succedeva dietro di me – raccontò Norman – Ma ho capito che stava andando come avevano programmato quando una voce nella folla iniziò a cantare l’inno Americano, ma poi smise. Lo stadio divenne silenzioso”.
Il capo delegazione americano giurò che i suoi atleti avrebbero pagato per tutta la vita quel gesto che non c’entrava nulla con lo sport. Immediatamente Smith e Carlos furono esclusi dal team americano e cacciati dal villaggio olimpico, mentre il canottiere Hoffman veniva accusato pure lui di cospirazione.
Tornati a casa i due velocisti ebbero pesantissime ripercussioni e minacce di morte.
Ma il tempo, alla fine, ha dato loro ragione e sono diventati paladini della lotta per i diritti umani. Sono stati riabilitati, collaborando con il team americano di atletica e per loro è stata eretta una statua all’Università di San José.
In questa statua non c’è Peter Norman.
Quel posto vuoto sembra l’epitaffio di un eroe di cui nessuno si è mai accorto. Un atleta dimenticato, anzi, cancellato, prima di tutto dal suo paese, l’Australia.
Quattro anni dopo Messico 1968, in occasione delle Olimpiadi di Monaco, Norman non fu convocato nella squadra di velocisti australiani, pur avendo corso per ben 13 volte sotto il tempo di qualificazione dei 200 metri e per 5 sotto quello dei 100.
Per questa delusione, lasciò l’atletica agonistica, continuando a correre a livello amatoriale.
In patria, nell’Australia bianca che voleva resistere al cambiamento, fu trattato come un reietto, la famiglia screditata, il lavoro quasi impossibile da trovare. Fece l’insegnante di ginnastica, continuò le sua battaglie come sindacalista e lavorò saltuariamente in una macelleria. Un infortunio gli causò una grave cancrena e incorse in problemi di depressione e alcolismo.
Come disse John Carlos “Se a noi due ci presero a calci nel culo a turno, Peter affrontò un paese intero e soffrì da solo”.
Per anni Norman ebbe una sola possibilità di salvarsi: fu invitato a condannare il gesto dei suoi colleghi Tommie Smith e John Carlos, in cambio di un perdono da parte del sistema che lo aveva ostracizzato. Un perdono che gli avrebbe permesso di trovare un lavoro fisso tramite il comitato olimpico australiano ed essere parte dell’organizzazione delle Olimpiadi di Sidney 2000.
Ma lui non mollò e non condannò mai la scelta dei due americani.
Era il più grande sprinter australiano mai vissuto e detentore del record sui 200, eppure non ebbe neppure un invito alle Olimpiadi di Sidney. Fu il comitato olimpico americano, una volta scoperta la notizia a chiedergli di aggregarsi al proprio gruppo e a invitarlo alla festa di compleanno del campione Michael Johnson per cui Peter Norman era un modello e un eroe.
Norman morì improvvisamente per un attacco cardiaco nel 2006, senza che il suo paese lo avesse mai riabilitato.
Al funerale Tommie Smith e John Carlos, amici di Norman da quel lontano 1968, ne portarono la bara sulle spalle, salutandolo come un eroe.
“Peter è stato un soldato solitario. Ha scelto consapevolmente di fare da agnello sacrificale nel nome dei diritti umani. Non c’è nessuno più di lui che l’Australia dovrebbe onorare, riconoscere e apprezzare” disse John Carlos.
“Ha pagato il prezzo della sua scelta – spiegò Tommie Smith – Non è stato semplicemente un gesto per aiutare noi due, è stata una SUA battaglia. È stato un uomo bianco, un uomo bianco australiano tra due uomini di colore, in piedi nel momento della vittoria, tutti nel nome della stessa cosa”.
Solo nel 2012 il Parlamento Australiano ha approvato una tardiva dichiarazione per scusarsi con Peter Norman e riabilitarlo alla storia con queste parole:
“Questo Parlamento riconosce lo straordinario risultato atletico di Peter Norman che vinse la medaglia d’argento nei 200 metri a Città del Messico, in un tempo di 20.06, ancora oggi record australiano.
Riconosce il coraggio di Peter Norman nell’indossare il simbolo del Progetto OIimpico per i Diritti umani sul podio, in solidarietà con Tommie Smith e John Carlos, che fecero il saluto del “potere nero”.
Si scusa tardivamente con Peter Norman per l’errore commesso non mandandolo alle Olimpiadi del 1972 di Monaco, nonostante si fosse ripetutamente qualificato e riconosce il potentissimo ruolo che Peter Norman giocò nel perseguire l’uguaglianza razziale”.
Ma, forse, le parole che ricordano meglio di tutti Peter Norman sono quelle semplici eppure definitive con cui lui stesso spiegò le ragioni del suo gesto, in occasione del film documentario “Salute”, girato dal nipote Matt.
“Non vedevo il perché un uomo nero non potesse bere la stessa acqua da una fontana, prendere lo stesso pullman o andare alla stessa scuola di un uomo bianco.
Era un’ingiustizia sociale per la qualche nulla potevo fare da dove ero, ma certamente io la detestavo.
È stato detto che condividere il mio argento con tutto quello che accadde quella notte alla premiazione abbia oscurato la mia performance.
Invece è il contrario.
Lo devo confessare: io sono stato piuttosto fiero di farne parte”.

(Riccardo Gazzaniga)

TE LO RICORDI GigiMarulla (tuttoattaccato)



GigiMarulla (tuttoattaccato) si ritirò dal calcio segnando 91 gol con la maglia rossoblu' del Cosenza (la sua seconda pelle).
Gli ultras cosentini in occasione del centenario della loro squadra, invitarono GigiMarulla alla festa organizzata al San Vito.
Entrato nello stadio, GigiMarulla trovo' davanti alla porta nove palloni. La curva vedendolo subito iniziò ad intonare: "GigiMarulla segna ancora e la curva s' innamora. "
GigiMarulla spinse in rete uno dopo l'altro i nove palloni. E ad ogni rete un boato in tutto lo stadio. Fino a raggiungere quota cento.
Una storia indimenticabile, a raccontarla a Cosenza ancora hanno gli occhi lucidi dall'emozione. Era il giusto tributo al loro eroe.

E tu te "lo ricordi GigiMarulla? "
A Salerno certamente si.
Un suo gol, nel 1992, infatti sancì la retrocessione dei granata in serie C.
E da allora ogni qualvolta si affrontano Cosenza e Salernitana, gli ultras rossoblu' srotolano in faccia ai salernitani lo striscione:
".... TE LO RICORDI GIGIMARULLA? "

(Zzz)

ZANZAPENSIERI SPARSI

(zZz)

E se proprio mi dovessi reincarnare in un Virus spero che non mi tocchi quello dell'INFLUENZA.

Corre troppo...
e io sono Pigro.
______________________________


E' sempre la stessa, arriva fa i fatti suoi e vola via.
Provo una strana sensazione di gelosia, quando l'ape mi impollina il geranio.
E senza neanche presentarsi ufficialmente.
Gioventù moderna, non c'è più rispetto.
__________________________________


Quando mi faranno Ministro dell' Istruzione, in tutte le Scuole il Topolino diventerà un Libro di testo obbligatorio.
Non è possibile che ancora oggi tanti confondono Paperopoli con Topolinia.

E che quasi nessuno conosce Ocopoli.
________________________________________

No, non ci vado a Bora Bora.
Troppo vento.

______________________________________
Vi avviso,
chi nasce tondo non può morire "Cuadrado".
Sempre juventini sono.



CON LE PINNE FUCILE ED OCCHIALI.....

Non ci volevano i dati dell' Arpac, per scoprire l'acqua calda (e inquinata) bastava comprare: maschera, tubo e pinne, e farsi una nuotata dalla Pignatella a Puolo.
Una decina di anni fa si vedeva il fondale, i pesci colorati, i ricci e le meduse, ora sembra di nuotare nel lago di Bautou in Cina.
E non e' una cosa normale.

(zZz)

ZANZAPENSIERI SPARSI


Come diceva Marcello Proust, cugino alla lontana del pilota della Ferrari:
"Il vero viaggio non consiste nel cercare nuove terre, ma nell' avere occhi nuovi. "

Mio figlio è stato il primo ad essere registrato come Jordi in Catalogna.




"Nel 1973 scelsi di andare al Barcellona. In Spagna c'era ancora Franco. Ma la Catalogna, come i Paesi Baschi, era una regione contestataria del potere centrale. E il suo spirito di ribellione alla dittatura mi conquistò il cuore. Tanto che, quando nel febbraio del 1974, ad Amsterdam nacque mio figlio, volli chiamarlo Jordi, come il patrono della Catalogna. All' anagrafe spagnola non lo volevano registrare.
"Si chiama Jorge" mi dissero. "Non lo si può registrare come Jordi. "E io risposi: " Ma l'ho già fatto in Olanda, allora se non lo registrate qui, non é un mio problema. Sui documenti c'è già scritto Jordi, se volete copiate o se no inventatevi un altro nome.... ".
Mio figlio è stato il primo ad essere registrato come Jordi in Catalogna.


(Johan Cruijff)

NAPOLI, TRA CALCIO E STORIA.



NAPOLI, TRA CALCIO E STORIA.
|La "Creatura" di Achille Lauro nacque a Villa Angelina a Massa Lubrense. |


Nel 1935, nel periodo fascista, il federale della città decise di offrire i titoli di proprietà della società calcio Napoli ad Achille Lauro per trecentomila lire (all' epoca una cifra importante).
Dopo la morte di Ascarelli, i fascisti pensarono di affidare la squadra ad una persona vicina al Duce. Il compianto presidente, infatti era di origini ebree e per lo stesso motivo lo stadio a lui intitolato fu chiamato successivamente "Partenopeo".


Il federale preannuncio' la visita a Villa Angelina affermando di avere una creatura da affidargli. Il Comandante, tra dubbi e incredulità, pensò si trattasse davvero di un neonato. Fece preparare, così, da donna Angelina una culla, sistemata con cura in una camera accogliente e luminosa della bella e spaziosa villa di Massa Lubrense.
Tra lo stupore dell' uomo e la prontezza del dirigente, il Comandante accolse la proposta inattesa del federale. Quella creatura di cui prendersi cura non aveva né testa né gambe. Era il Napoli, orfano del suo presidente Ascarelli. Quella creatura era una borsa contenente i libri, i timbri, e i documenti vari che rappresentavano il Calcio Napoli. E' l'inizio della lunga epoca laurina del sodalizio azzurro.
Achille Lauro alternera' la carica di presidente effettivo e onorario fino alla morte, per quasi cinquant'anni e anche quando il Napoli non era più nelle sue mani dal punto di vista azionario, lui si sentiva sempre il padre di quella creatura nata a Massa Lubrense.

Fonte:
Achille Lauro il Comandante tradito.
Di Corrado Ferlaino con Toni Iavarone.

PALLANUOTO, ITALIA VS SPAGNA CON VISTA SUI FARAGLIONI



Giovedì 3 Settembre,
la sfida di pallanuoto maschile tra
Italia v/s Spagna, si giocherà a Marina Piccola (Capri) davanti allo stabilimento "La Canzone del Mare ".
A partire dalle 17. 00 collegamento in diretta su GazzettaTv.

*Nella foto il campo di pallanuoto che ospiterà l' incontro.