una storia, una notizia, o qualunque cosa valga la pena di essere raccontata



lunedì 23 gennaio 2017

“La leggenda dell’amore” :il cavaliere iracondo Vesuvio e la pia fanciulla Capri.



“La leggenda dell’amore” :il cavaliere iracondo Vesuvio e la pia fanciulla Capri.

“Vi si parla di un nobile signore, appartenente ad uno dei primi seggi della città, e che s’innamorò perdutamente di una fanciulla di casa nemica; era il cavaliere di carattere violento, di temperamento focoso, pronto al risentimento ed all’ira. Pure, per ottenere la donna che amava, sarebbe diventato umile come un poverello cui manca il pane.

Ma l’amore dei due giovani, anziché diminuire e leni...re le collere di parte, valse a rinfocolarle – e per preghiere ed intercessioni che venissero fatte, la nobile famiglia Capri non volle accettare il matrimonio. Anzi per trovar rimedio all’amore dei due, fu deciso imbarcare la fanciulla sopra una feluca e mandarla in estranea contrada.


Ma essa che si sentiva strappar l’anima, allontanandosi dal suo bene, come fu fuori del porto, inginocchiatasi e pronunciata una breve preghiera, si slanciò nell’onde, donde uscì isola azzurra e verdeggiante.

Ma non si chetava l’amore nel cuore del nobile Vesuvio, quale era il nome del cavaliere e la collera gli bolliva in corpo: quando seppe della nuova crudele, cominciò a gittar caldi sospiri e lagrime di fuoco, segno della interna passione che lo agitava; e tanto si gonfiò che divenne un monte nelle cui viscere arde un fuoco eterno d’amore. Così egli è dirimpetto alla sua bella Capri e non può raggiungerla e freme d’amore e lampeggia e s’incorona di fumo e il fuoco trabocca in lava corruscante…”
…Altre volte capita invece che Vesuvio, guardando la sua isola, si calmi e sembri sussurrare oltre il mare: “Quant’è bella però la mia regina di pietra. Quant’è bella la mia Capri.” »

FONTE: Matilde Serao -Libro d’immaginazione e di sogno

giovedì 19 gennaio 2017

TORQUATO TASSO E IL BRIGANTE



Marcus Sciarra, flagellum Dei, et commissarius missus a Deo contra usurarios et detinentes pecunias otiosas» («Marco Sciarra, flagello di Dio, e inviato da Dio contro gli usurai e quelli che posseggono denaro improduttivo»): così si definiva il bandito che ebbe fama popolare poiché, come riportavano gli "Avvisi", una specie di giornali del tempo, Sciarra rubava ai ricchi per ridistribuire ai poveri. Ed era di certo più amato dei soldati e dei gabbellieri del Papa.
Durante uno dei tanti assalti ai danni di una carovana, i briganti di Sciarra ordinarono agli occupanti di gettarsi faccia a terra, in modo da depredarli dei loro averi. Soltanto una persona, un signore ben vestito e dall’aria distinta, rifiutò di eseguire l’ “ordine”. “Faccia a terra!”, gli fu intimato ancora una volta dai masnadieri. “Io sono Torquato Tasso”, rispose a quel punto il viaggiatore, senza scomporsi. “Il Poeta!”, fu la reazione confusa e imbarazzata di un brigante, che corse a baciare la mano al Tasso, in segno di riverenza e sottomissione. Così  Sciarra ossequiò Tasso , restituì gli averi sottratti e lasciò ripartire la carovana.


FONTE: WIKIPEDIA, CATREPORTER79

 
 

lunedì 16 gennaio 2017

Mannarino - Apriti Cielo









Apriti cielo
E manda un po’ di sole
A tutte le persone che vivono da sole
Apriti cielo
Fa luce per davvero
Su quando sono stato
Quello che non ero

Trovammo questa vita fra le stelle
Poi lasciammo le caverne
Arrivammo alle transenne
Lasciateme passà che non ho tempo
Ho già dormito tanto
Adesso ho un grande appuntamento
Il vento che passa
Il cielo che vola
È una vita sola

RIT.

Apriti cielo
Sulla frontiera
Sulla rotta nera
Una vita intera
Apriti cielo
Per chi non ha bandiera
Per chi non ha preghiera
Per chi cammina dondolando nella sera

Apriti mare
E lasciali passare
Non hanno fatto niente
Niente di male
C’è un cartello appeso in mezzo al cielo
Se vuoi vivere alla grande devi stare con l’impero
Ma una ragazza un giorno mi ha spiegato
Che il mare ha tante onde e non finisce all’orizzonte
E allora andiamo
Signore hanno scoperto con la lente che dietro al cielo non c’è niente
Ci sta solo un telo nero, se lo scoprirà la gente

RIT.

Vento di guerra
È un uragano
Amore mio, non ho la forza: camminiamo
Non aver paura
E dammè la mano
La notte è scura, ma io e te ci ripariamo

Apriti cielo e manda un po’ di sole
Su chi non c’ha un nome
Su chi non ha regione
Apriti cielo e manda un po’ di sole
Su chi cammina solo tra milioni di persone.

venerdì 13 gennaio 2017

S.PIETRO a CRAPOLLA: LA CHIESA DEGLI EMIGRANTI.



Lasciarono Torca per sfuggire alla fame e alla guerra, ma non dimenticarono mai la loro terra. Fu così ,che appena fecero fortuna nelle terre lontane, spedirono a casa il denaro necessario per ricostruire la cappellina di S.PIETRO a CRAPOLLA:

"...qualcuno dei tanti emigranti del borgo di Torca si è ricordato dei pescatori di Crapolla e ha mandato un gruzzoletto perché risorgesse una cappelluccia sulle rovine della badia: una cappelluccia tanto da collocarvi l'immagine del Santo e stendervi la tovaglia dell'altare."
(tratto da "Il covo delle sirene" di Amedeo Maiuri, anno 1943)



".......simme tutt'eguale
affacciati alle sponde dello stesso mare..
e nisciuno è pirata e nisciuno è emigrante
simme tutte naviganti!"

martedì 10 gennaio 2017

I TEDESCHI AFFONDANO LA GIOVANNINA. LA NAVE DI SORRENTO.


,MOTOBARCA GIOVANNINA APONTE
Costruita alla Marina di Cassano di Piano di Sorrento e varata nel 1907 – 14 tonnellate di stazza

Il giorno 11 settembre del 1943 mentre si trovava in prossimità del porto di Castellammare di Stabia, fu cannoneggiata da truppe tedesche causando (tra morti e feriti) circa 30 vittime raccolte in parte dalla motobarca San Antonio Equa ed in parte sulla vicina spiaggia di Pozzano.

L'11 Settembre del 1943 fu per la penisola sorrentina il giorno più tragico tra quelli che seguirono la proclamazione dell'armistizio. Era un Sabato e nelle prime ore del pomeriggio LA GIOVANNINA, motobarca dei fratelli APONTE di S.AGNELLO, cadde sotto il tiro dell'artiglieria tedesca, mentre a due miglia dalla costa navigava tra TORRE ANNUNZIATA  e CASTELLAMMARE.

".....Abbiamo assistito al cannoneggiamento che i tedeschi dalla TORRE DELL'ANNUNZIATA hanno fatto a un motoscafo che trasportava merci e passeggeri; e poi si è saputo che sono morte una decina di persone ( trenta o forse più NDR)"
---BENEDETTO CROCE


La GIOVANNINA era una tipica feluca sorrentina, di 14 tonnellate, dotata di motore e di una vela latina ausiliaria; varata nel 1902, nei cantieri della MARINA DI CASSANO ed adibita al trasporto passeggeri fra cui i "CORRIERI SORRENTINI", precursori dell' odierno pacco celere. Costoro, nei caratteristici abiti da marinaio, in tela grigia o blu, assicuravano i trasporti minuti fra SORRENTO  e NAPOLI  fin da epoche remote.
Nelle loro bisacce e panare portavano di tutto: lettere, plichi, documenti,preziosi, olio, latticini e altro ancora: passeggeri e marinai al tempo stesso, collaboravano nello stivare il carico, alla manovra e nel governo di vela e timone: il più anziano fungeva spesso da bigliettaio e da collettore di offerte "à NFERTA"  in suffragio delle anime sante del purgatorio, cui era dedicata la chiesuola della MARINA DI CASSANO.

Dai primi di settembre, solo LA GIOVANNINA e la PRINCIPESSA DI PIEMONTE , della SPAN, collegavano ogni giorno la penisola con Napoli in quanto i tedeschi avevano bloccato quelli via terra (verso C.MMARE).

La mattina dell'11, da Napoli arrivano notizie allarmanti, il capoluogo partenopeo in mano ai tedeschi era "come una città assediata, mancavano viveri, di ogni mezzo igienico", questo e l'ordine della CAPITANERIA (*navigazione entro due miglie dalla costa) indussero  i FRATELLI APONTE ad anticipare la partenza di un'ora. 

Mollato l'ormeggio, con oltre 100 PASSEGGERI, la motobarca puntò prima  su SAN GIOVANNI A TEDUCCIO e da qui verso lo scoglio di ROVIGLIANO, antistante TORRE A. Appena doppiao questo, LA GIOVANNINA, incrociò il  SANT'ANTONIO motobarca militarizzata dei FRATELLI SAVARESE di VICO EQUENSE, che navigava a tutta forza verso il largo. Giuseppe Aponte e Mariano Lauro ricordano che a bordo avvertirono di non avvicinarsi al porto che ormai, dopo aspri combattimenti era caduto in mano tedesca. Subito dopo però una prima granata esplose a pelo d'acqua appena 50 metri dietro la barca; dopo un minuto ne cadde una seconda, era l' esplicito ORDINE, come sostiene Mariano LAURO, di accostare ma da bordo non si diede ad intendere di volerlo ascoltare, anzi qualcuno ordinò : "VOTTA FORA" - "dirigi verso il largo."

La mancata osservanza dell' intimazione ad accostare per farsi identificare, ingenerò nei tedeschi il sospetto che si trattasse di un natante nemico e giunse così una terza granata che esplodendo a circa un metro dalla barca, provocò lo sfondamento della murata e di gran parte della poppa. 
Fu l'inizio della tragedia: per prima cosa lo spostamento d'aria, provocato dallo scoppio, scaraventò in mare una decina di passeggeri, mentre la barca, con il motore in avaria e crivellata di schegge, sbandata su di un fianco, iniziava una lenta rotazione, per essere caduto in mare anche il timoniere, GIUSEPPE APONTE, ferito ad un ginocchio che sul suo diario di bordo poi scrisse:

"......i colpi partivano da terra e in breve urla strazianti si levarono da ogni parte. Mio Zio Luigi, con il collo squarciato da una scheggia perdeva sangue a fiotti e stava per cadere in mare, per l' improvviso sbandamento della nave, nello sporgermi per trattenerlo avvertiii un dolore fortissimo al ginocchio e caddi in mare, colpito a mia volta."

Fortunatamente qualcosa indusse i tedeschi a sospendere il fuoco e il natante, a velocità ridotta, con un corriere al timone, tal 'TATURIELLO detto ANATROCCOLA, andò ad arenarsi sulla spiaggia di POZZANO. 


Nel timore che la nave stesse affondando però molti si tuffarono tentando di mettersi in salvo a nuoto e fra questi MICHELE "è ZACCHEO"  che di questi terribili momenti conserva questi ricordi:


".... debbo la mia vita all' unico bottone della mia mutanda militare. Sulla G. mi ero disfatto della mia divisa di marinaio per sfuggire all' eventuale cattura ed ero rimasto in mutande, ma la presenza di numerose donne fra i passeggeri, mi indusse ad appartarmi per reindossare almeno i pantaloni; e tale circostanza rappresentò la mia salvezza in  quanto mi consentì di allontanarmi, appena in tempo, dal punto dove esplose la terza granata che provocò la strage. Così mi lanciai in mare e iniziai a nuotare verso lo SCRAIO. Il mare e calmo e così potei soccorrere almeno sei naufraghi assicurandoli a dei relitti di legno e a richiamare l' attenzione del SANT'ANTONIO, che navigava nei paraggi nonostante fosse stato inquadrato a sua volta, da una selva di ben sei granate cadute per fortuna in acqua. Cessato il cannoneggiamento, in quanto i tedeschi si erano resi conto della nostra innocuità, anche io fui raccolto dal SANT'ANTONIO  che si diresse verso il porto di C.MMARE dove intendeva sbarcarci. A circa cento metri dalla costa, preferii rituffarmi in mare in quanto, per essere un marinaio disertore, temevo di poter essere arrestato dai miei stessi camerati, ed anche perchè  volevo, con suprema incoscienza recuperare il mio zaino che avevo lasciato sulla G. , arenatasi nel frattempo sulla spiaggia di POZZANO. 
Raggiunsi la riva nei pressi della nave già piantonata da diversi militari germanici, che con le armi spianate, m'ingiunsero di avvicinarmi per identificarmi: fortunatamente mi ritennero un civile e mi consentirono di andare sulla G. a cercare le mie cose. Salii così per l' ultima volta sulla barca e restai sconvolto alla vista del sangue e dei resti umani disseminati in prossimità del punto dove era esplosa la granata. Recuperato lo zaino mi allontanai verso la strada alla ricerca alla ricerca di un mezzo per tornare a PIANO. Dove giunsi verso sera, con uno degli ultimi tram in servizio."


Mentre MICHELE "è ZACCHEO" viveva quest' avventura, GIUSEPPE APONTE, stremato e sanguinante, raggiungeva la riva aggrappato a un relitto e qui fu soccorso dal DOTTOR SASSI che, insieme ai militari di sanità tedeschi, era accorso dal convalescenziario del QUISISANA , da dove avevano assistito al tragico evento. 

In PENISOLA, quella fu una tragica sera: appena diffusasi la notizia molti partirono per prestare soccorso. Il giorno successivo, il 12 SETTEMBRE,  di DOMENICA si svolsero i funerali delle vittime e grande commozione suscitò il passaggio delle bare dei vecchi APONTE uniti nella morte come insieme avevano trascorso la loro lunga esistenza sul mare.


FONTE:
SORRENTO '43
di G.ACAMPORA.


foto: http://www.naviearmatori.net/



N3W TEAM - CACCIA AL TESORO SORRENTO - SEZIONE BIRIBISSO

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O VINCIAMO
O ESPROPRIAMO!! 

IL BIRIBISSO



“Dall’ altro lato ad una mensa intorno erano uomini e donne, che danari spargean sopra una tela, ch’avea molte figure in più colori. Costoro fuar d’un sacchetto certe palle traean, che parean d’oro, e pure eran di foca e ardean loro le mani e le saccocce. Sopra queste con note
fiammeggianti il cartello dicea Biribissanti”.


con questi versi che Carlo Maria ci descrive, nel 1650, il Biribisso, gioco antichissimo, che già dal ‘500 appassionava un vasto pubblico di ogni classe sociale, non risparmiando nemmeno le corti reali.
Si legge infatti che in occasione della visita di Filippo V di Spagna a Cosimo III dei Medici, a Firenze, le dame e i cavalieri che seguivano l’ Imperatore e gli invitati del Granduca, si dedicavano la sera al Biribisso (o Pari e Dispari). Un vero e proprio fanatismo dunque che stregò ogni città italiana, da Genova a Venezia, da Firenze a Napoli, giungendo perfino in Francia, con il nome di Biribì.
La ragione della grande passione per questo gioco è presto spiegata: il Biribisso era un gioco d’azzardo, che consentiva enormi vincite; il giocatore collocava la posta sopra una o più delle 70 caselle numerate o figurate in cui era diviso il gioco. Il Banco estraeva da un sacchetto un numero del 70 o una figura; i giocatori che avevano puntato sul numero vincente ricevevano 64 volte la posta: tutti gli altri perdevano o pagavano al Banco. Si giocavano così interi patrimoni, e non si perdeva solo fino all’ultimo ducato, ma si finiva per giocarsi anche l’orologio, le fibbie d’argento, la tabaccheria…
Per queste ragioni dunque il Biribisso finì per essere bandito dalle piazze e dalle case patrizie: le leggi di bando lo inseguirono in Toscana sotto i Medici, in Lombardia sotto Maria Teresa, a Napoli sotto i Borbone, a Venezia con la Repubblica, e come si nota in un Bando del 1736 per i giocatori del Biribisso erano previste pene gravissime.
Ma a nulla valse; si sa infatti che a Venezia la passione per il Pari e Dispari fosse tale che si giungeva addirittura a giocare in quello stesso Palazzo Ducale dove venivano redatte le leggi che bandivano i giochi d’azzardo.


Non poteva mancare, tra le città prese dalla passione per il Biribisso, Napoli. Ce lo ricorda infatti un Bando dell’Infante Don Carlo di Borbone, in una prammatica del 13 settembre 1735: 
“Comandiamo che da oggi in avanti… una persona di qualsivoglia grado ardisca… venga punita, e le tavole, e le sedie e le carte dei giochi proibiti si debbano bruciare davanti a casa”. 

Il Biribisso ebbe giocatori illustri: tra i tanti, Giacomo Casanova che, dopo una vittoria al Biribisso cita nelle sue Memorie: “È stata una vittoria meravigliosa, poiché i birbanti sono bricconi matricolati”.
Bisogna attendere il XIX secolo per assistere al tramonto del Biribisso, che forse si è solo trasformato in altri giochi.
Il gioco del Lotto e la stessa Roulette dove il Banco vince sempre, non sono forse i “figli” del Biribisso? …
1)Biribisso, Biribissi, Biribì, l’origine del suo nome non si sa, ma si crede che sia onomatopeica.
Infatti Biribisso è una parola scherzosa, infantile e, più che al pericolo demoniaco dell’ azzardo, fa pensare ad una burla, ad una birichinata.



Le peculiarità della tavola del Biribisso custodito a Sorrento
Sempre nel catalogo del Museo Correale di Sorrento, a proposito dell’esemplare custodito nella Terra delle Sirene, è scritto:
“La tavola da gioco del Biribisso conservata al Museo Correale di Terranova è stata dipinta, presumibilmente intorno alla metà del XVIII secolo, da Francesco Celebrano, pittore e scultore nato a Napoli nel 1729, più volte al servizio della corte borbonica.
Il piano da gioco è diviso in 70 caselle, incorniciate da raffinati ramages dorati. Le caselle numerate, raffigurano nature morte, animali, deliziose figure ispirate alla pittura di Antoine Watteau, maschere della Commedia dell’Arte, stemmi ed insegne di alcuni casati principeschi. Tutt’intorno, in contrasto con il fondo scuro, un’elegante decorazione raffigurante rami di corallo e tralci di fiori, che rispecchiano il tipico gusto rocaille dell’ epoca.
Un dipinto dalle altissime qualità pittoriche, caratterizzato dalla costante ricerca del particolare, giunto in casa Correale per la passione collezionistica degli antenati di Alfredo e Pompeo Correale, Fondatori del Museo.
La tavola, per la sua rarità e bellezza è stata più volte richiesta per importanti Mostre, sia in Italia che all’estero. Tra queste ricordiamo Civiltà del ‘700 a Napoli, 1734 – 1799, nel 1980; L’arte alla Corte di Napoli nel sec. XVIII, a Madrid nel 1990 e Pulcinella e le arti. La Maschera dal ‘500 al ‘900, a Napoli nel 1991”.



FONTE:
Fabrizio Guastafierro
http://www.ilmegliodisorrento.com/