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martedì 10 gennaio 2017

IL BIRIBISSO



“Dall’ altro lato ad una mensa intorno erano uomini e donne, che danari spargean sopra una tela, ch’avea molte figure in più colori. Costoro fuar d’un sacchetto certe palle traean, che parean d’oro, e pure eran di foca e ardean loro le mani e le saccocce. Sopra queste con note
fiammeggianti il cartello dicea Biribissanti”.


con questi versi che Carlo Maria ci descrive, nel 1650, il Biribisso, gioco antichissimo, che già dal ‘500 appassionava un vasto pubblico di ogni classe sociale, non risparmiando nemmeno le corti reali.
Si legge infatti che in occasione della visita di Filippo V di Spagna a Cosimo III dei Medici, a Firenze, le dame e i cavalieri che seguivano l’ Imperatore e gli invitati del Granduca, si dedicavano la sera al Biribisso (o Pari e Dispari). Un vero e proprio fanatismo dunque che stregò ogni città italiana, da Genova a Venezia, da Firenze a Napoli, giungendo perfino in Francia, con il nome di Biribì.
La ragione della grande passione per questo gioco è presto spiegata: il Biribisso era un gioco d’azzardo, che consentiva enormi vincite; il giocatore collocava la posta sopra una o più delle 70 caselle numerate o figurate in cui era diviso il gioco. Il Banco estraeva da un sacchetto un numero del 70 o una figura; i giocatori che avevano puntato sul numero vincente ricevevano 64 volte la posta: tutti gli altri perdevano o pagavano al Banco. Si giocavano così interi patrimoni, e non si perdeva solo fino all’ultimo ducato, ma si finiva per giocarsi anche l’orologio, le fibbie d’argento, la tabaccheria…
Per queste ragioni dunque il Biribisso finì per essere bandito dalle piazze e dalle case patrizie: le leggi di bando lo inseguirono in Toscana sotto i Medici, in Lombardia sotto Maria Teresa, a Napoli sotto i Borbone, a Venezia con la Repubblica, e come si nota in un Bando del 1736 per i giocatori del Biribisso erano previste pene gravissime.
Ma a nulla valse; si sa infatti che a Venezia la passione per il Pari e Dispari fosse tale che si giungeva addirittura a giocare in quello stesso Palazzo Ducale dove venivano redatte le leggi che bandivano i giochi d’azzardo.


Non poteva mancare, tra le città prese dalla passione per il Biribisso, Napoli. Ce lo ricorda infatti un Bando dell’Infante Don Carlo di Borbone, in una prammatica del 13 settembre 1735: 
“Comandiamo che da oggi in avanti… una persona di qualsivoglia grado ardisca… venga punita, e le tavole, e le sedie e le carte dei giochi proibiti si debbano bruciare davanti a casa”. 

Il Biribisso ebbe giocatori illustri: tra i tanti, Giacomo Casanova che, dopo una vittoria al Biribisso cita nelle sue Memorie: “È stata una vittoria meravigliosa, poiché i birbanti sono bricconi matricolati”.
Bisogna attendere il XIX secolo per assistere al tramonto del Biribisso, che forse si è solo trasformato in altri giochi.
Il gioco del Lotto e la stessa Roulette dove il Banco vince sempre, non sono forse i “figli” del Biribisso? …
1)Biribisso, Biribissi, Biribì, l’origine del suo nome non si sa, ma si crede che sia onomatopeica.
Infatti Biribisso è una parola scherzosa, infantile e, più che al pericolo demoniaco dell’ azzardo, fa pensare ad una burla, ad una birichinata.



Le peculiarità della tavola del Biribisso custodito a Sorrento
Sempre nel catalogo del Museo Correale di Sorrento, a proposito dell’esemplare custodito nella Terra delle Sirene, è scritto:
“La tavola da gioco del Biribisso conservata al Museo Correale di Terranova è stata dipinta, presumibilmente intorno alla metà del XVIII secolo, da Francesco Celebrano, pittore e scultore nato a Napoli nel 1729, più volte al servizio della corte borbonica.
Il piano da gioco è diviso in 70 caselle, incorniciate da raffinati ramages dorati. Le caselle numerate, raffigurano nature morte, animali, deliziose figure ispirate alla pittura di Antoine Watteau, maschere della Commedia dell’Arte, stemmi ed insegne di alcuni casati principeschi. Tutt’intorno, in contrasto con il fondo scuro, un’elegante decorazione raffigurante rami di corallo e tralci di fiori, che rispecchiano il tipico gusto rocaille dell’ epoca.
Un dipinto dalle altissime qualità pittoriche, caratterizzato dalla costante ricerca del particolare, giunto in casa Correale per la passione collezionistica degli antenati di Alfredo e Pompeo Correale, Fondatori del Museo.
La tavola, per la sua rarità e bellezza è stata più volte richiesta per importanti Mostre, sia in Italia che all’estero. Tra queste ricordiamo Civiltà del ‘700 a Napoli, 1734 – 1799, nel 1980; L’arte alla Corte di Napoli nel sec. XVIII, a Madrid nel 1990 e Pulcinella e le arti. La Maschera dal ‘500 al ‘900, a Napoli nel 1991”.



FONTE:
Fabrizio Guastafierro
http://www.ilmegliodisorrento.com/

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