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venerdì 30 luglio 2010

ONU: DIRITTO UMANO L' ACCESSO ALL' ACQUA POTABILE E ALL' IGIENE


L’assemblea generale delle Nazioni unite ha adottato, ieri a New York, una risoluzione che dichiara diritto umano l’accesso all’acqua potabile e all’igiene, con 122 voti a favore, nessuno contrario e 41 astenuti. La risoluzione invita stati e organizzazioni internazionali a destinare risorse finanziarie, abilità costruttive, tecnologie appropriate ai paesi in via di sviluppo, nello sforzo di provvedere acqua da bere sicura, pulita, accessibile, tenuto conto anche del costo affrontabile, nonché a rendere possibile l’igiene per tutti.
Quanto precede è nelle grandi linee l’inizio del comunicato ufficiale dell’Onu. Il testo poi prosegue con la litania delle cifre: 884 milioni di persone senza accesso all’acqua sicura; 2,6 miliardi di persone, quanto a dire il 40% dell’umanità, senza igiene di base; 1,5 milioni di bambini di meno di cinque anni che muoiono ogni anno per malattie connesse alla carenza di acqua pulita, più di quanti ne muoiano per Aids, malaria e morbillo, le tre cause più frequenti di morti infantili sommate insieme.
La discussione è però cominciata lontano da New York e si è sviluppata negli incontri del movimento, in tutte le sue forme, locali e globali; e poi nelle conferenze, nei forum alternativi, lungo le carovane dell’acqua, in Europa, in Africa, nelle Americhe, in ogni parte del mondo. Tutto questo ha consentito l’elaborazione di un pensiero comune per il bene comune, fino ad arrivare alla risoluzione, presentata all’Onu dalla Bolivia, il paese di Evo Morales e di Cochabamba, il luogo della prima grande lotta dell’acqua contro le multinazionali (Bechtel, in quel caso) e il luogo della recente conferenza sull’ambiente e sulla madre Terra.
Marco Iob, presidente della Ong Cevi, è un buon testimone di questa lunga trafila. 122 voti di liberi stati non si raccolgono senza un lavoro importante. Ricorda alcuni passaggi attraverso i quali il discorso dell’acqua, da disperso che era, ha ricevuto uno sviluppo internazionale e la solidarietà è riuscita a crescere. Molto merito spetta a René Orellana, allora ministro dell’acqua boliviano e poi passato a occuparsi di ambiente. Egli ha portato al Forum di Istanbul del marzo 2009 una posizione intransigente, elaborata anche in preriunioni romane e controfirmata da 25 stati, di certo non sufficienti ad ottenere un risultato a Istanbul, ma di certo capaci di bloccare il cammino sicuro delle multinazionali e degli stati maggiori al loro seguito. Mancando l’unanimità, Istanbul è finita in uno stallo.
Il voto all’Onu di ieri, che ha origine in quel pensiero condiviso e quelle tappe a Roma e a Istanbul, è un buon risultato sul quale sarà meglio non addormentarsi. Nel 2012 è previsto di nuovo il World Water Forum che si sposterà a Marsiglia, dove le multinazionali si sentiranno a casa e torneranno all’attacco, magnificando naturalmente anch’esse il diritto inalienabile all’acqua, per poi svuotarlo e sabotarlo in mille subdoli modi. L’Onu, per fare chiarezza, deve togliere alle multinazionali il compito di organizzare il vertice, come sottolinea Emilio Molinari in questa stessa pagina del manifesto.
Contro la posizione espressa dalla Bolivia si sono mossi con tutta la loro possanza gli Stati uniti. Hanno subito dichiarato la loro astensione, chiedendo ai governi amici di fare altrettanto. L’argomento adottato era che di acqua come diritto umano si stava già occupando lo Human Rights Council di Ginevra, sempre nell’ambito delle Nazioni unite. La risoluzione di New York avrebbe svuotato il lavoro del Rapporteur del Council. Il testo secondo la posizione Usa avrebbe avuto il torto di descrivere il diritto all’acqua e all’igiene in un modo estraneo al diritto internazionale esistente.
Al contrario il Rapporteur, per la precisione la portoghese Catarina de Albuquerque, nel suo intervento all’Assemblea generale ha piuttosto parlato dell’impegno per ottenere il diritto per tutti a bere un’acqua sana e pulita e ha osservato – facendo l’esempio dei coreani in Giappone, quelli della comunità di Utoro, presso Kyoto, privi di acqua corrente e di fogne – che anche nei posti più affidabili vi sono sacche di arretratezza.
I limiti dello Human Rights Council di Ginevra sono presto indicati. Il diritto all’acqua è collocato al quarantaquattresimo posto in un elenco di quarantacinque voci. Dopo l’acqua, Water in inglese, vengono solo le donne o Women per motivi alfabetici. L’elenco è aperto da Business e poi Children. Poi, spulciando qua e là c’è la democrazia, la pena di morte, l’ambiente, il cibo, l’indipendenza dei giudici, le minoranze, la povertà, il terrorismo, la tortura, il traffico di esseri umani. Tutti argomenti molto importanti ma che lasciano supporre che si tratti di un luogo in cui le iniziative si perdono tra mille parole e dove si decide molto poco.
I governi amici degli Stati uniti si sono allineati sulla loro dichiarazione di astensione. Dei 27 paesi dell’Unione europea, 9 hanno votato sì e 18 si sono astenuti. Il rappresentante albanese, assente al voto, in uno sforzo di allineamento ha detto che se presente, si sarebbe astenuto. L’Italia, con tutti gli ambasciatori a Roma per ascoltare Silvio Berlusconi raccontare storielle su Margaret Thatcher, è fortunatamente scivolata nel silenzio, passando inosservata e votando sì, come Francia, Germania e Spagna.
Come faremo, senza questa cattiva figura?

IL MANIFESTO

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