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martedì 11 febbraio 2014

NAPOLI, LE GAZZE DELLA PIGNASECCA E L'ANELLO DEL VESCOVO.

"Bolla di scomunica". Ma indirizzata a chi? A quanti hanno esagerato con le battutacce? Alle malelingue di un quartiere troppo chiacchierone? Alle donne che hanno fatto la spia? O agli scugnizzi che hanno tirato giù dai rami la Mitra dello scandalo? No. Bisogna colpire alla fonte. Bolla di scomunica alle... Vediamo un po'... Ma si, "Scomunica" alle gazze ladre. E per chi non ci credesse, il documento dovrà essere affisso al pino più alto del "Biancomangiare". E non se ne parli più.
Foto: NAPOLI, LE GAZZE DELLA PIGNASECCA E L'ANELLO DEL VESCOVO.

"Bolla di scomunica". Ma indirizzata a chi? A quanti hanno esagerato con le battutacce? Alle malelingue di un quartiere troppo chiacchierone? Alle donne che hanno fatto la spia? O agli scugnizzi che hanno tirato giù dai rami la Mitra dello scandalo? No. Bisogna colpire alla fonte. Bolla di scomunica alle... Vediamo un po'... Ma si, "Scomunica" alle gazze ladre. E per chi non ci credesse, il documento dovrà essere affisso al pino più alto del "Biancomangiare". E non se ne parli più.

Brutta storia. Un sant'uomo, un uomo di chiesa, forse addirittura un ves... un Vescovo. Scoperto in casa... cioè, a letto. Con la perpetua. Per colpa di una gazza. Per colpa di una stramaledetta gazza dispettosa. "In nome di Dio, per la grave responsabilità che mi fu affidata in terra, nella qualità di vicario di Cristo, io, Vescovo di Napoli e delle sue province, scomunico, d'ora innanzi, tutte le gazze di questo quartiere, anzi... tutte le gazze di questa città". Deve essere andata più o meno così. Magari un po' più sul pomposo, magari col latinorum di manzoniana memoria, magari con tanto di timbro, in cera lacca, della Curia arcivescovile di Napoli. Ma la bolla di scomunica, per tutte le gazze della salita che, da piazza Carità, conduce dritto dritto, a Montesanto, è stata emessa veramente. Affissa al pino più alto dell'antico bosco "Biancomangiare", affinchè tutti potessero vederla. Brutta storia. Brutta storia, davvero. E siamo solo all'inizio. Quello che succederà dopo, tutto quello che mezza Napoli avrà modo di vedere coi suoi occhi, è solo il prologo di una delle più simpatiche e irriverenti leggende partenopee - con tanto di fantasma, naturalmente - tramandata di bocca in bocca fino a rimanere suggellata nel nome del quartiere che ne ha fatto da scenario: la Pignasecca. Andiamo per ordine e cominciamo dalla... fine. Da quello che succede oggi e che ancora, i più fortunati, possono sentire con le proprie orecchie. Per vivere in prima persona il brivido dei fantasmi della Pignasecca bisogna fare solo un piccolo sacrificio. Svegliarsi all'alba. Tirarsi giù dal letto, quando ancora la luce non ha inondato i vicoli e le stradine di Napoli, e scivolare lungo le vie deserte quando finestre e balconi sono rigorosamente "inserrati". Allora, solo allora, quando ci si lascia alle spalle piazza Carità, quando si supera il mercato del pesce e il grigio Ospedale dei Pellegrini, un suono, un lamento, un disperato coro dalle tonalità inquietanti rischia di lasciare senza fiato anche il più impassibile dei turisti d'oltre confine. Sono le gazze. O meglio, i fantasmi delle gazze scomunicate, che cantano a Napoli il loro dispetto. La loro condanna, per cotanta crudeltà.
Alla Pignasecca c'è chi è pronto a giurare di averle sentite davvero. Ma quel lamento, quel suono amaro non piace ai napoletani, che quasi per esorcizzare la nenia malefica, ogni mattina inondano il quartiere di mille voci decise a cancellare ogni grido del passato. Che cosa è mai accaduto in una delle più popolate e popolari strade di Partenope? Cosa risveglia i fantasmi delle gazze del magico bosco "Biancomangiare". La vicenda comincia qualche secolo fa. Questa volta ripartiamo dall'inizio. Anche se date, circostanze, nomi sono coperti dal più rigido segreto. E più non bisogna "dimandare". In quei tempi Napoli, città magica e lussuriosa, vive momenti di ricchezza e voluttà. Anche i quartieri più poveri si abbandonano al sensuale torpore dei periodi migliori. 
Gli amori clandestini, i pruriti irraccontabili dei figli di Partenope, non risparmiano nessuno. Meno che mai le gerarchie ecclesiastiche. Nel quartiere parallelo a Spaccanapoli, si intrecciano storie d'amore e di tradimenti, senza troppi riguardi per il sacro abito talare. Un unico inconveniente sembra perseguitare gli amanti distratti. Le gazze del bosco vicino penetrano nelle case abbandonate alle passioni e fanno incetta di tutto. Gioielli, monete d'oro, e finanche biancheria intima, scompaiono d'improvviso per riapparire, beffardi, su qualche albero della fitta pineta. Per i napoletani ci vuol poco. Chi rimane vittima dei curiosi furti non può che essere un adultero. Automatico. Ma che succede se su un pino della vergogna si ritrova una mitra vescovile, o magari il sacro anello della Curia? Il vescovo... Hai capito il Vescovo? Il vescovo e la perpetua... Giù risatine irriverenti, battute al vetriolo, volgarità irripetibili. 
Le voci corrono veloci. Arrivano nelle case della "gente onesta", delle mille donne che frequentano la chiesa. Poi, addirittura in Curia. Il vescovo e la perpetua. In casa... cioè, a letto. Brutta storia. Brutta storia, davvero.
Per porre rimedio allo scandalo, riunioni e contro riunioni. Consulti e confessioni. Poi si opta per la "Bolla di scomunica". Eccessivo, ma definitivo, il rimedio sembra convincere anche la Santa Sede. Una bella, seria, sacrosanta "Bolla di scomunica". Ma indirizzata a chi? A quanti hanno esagerato con le battutacce? Alle malelingue di un quartiere troppo chiacchierone? Alle donne che hanno fatto la spia? O agli scugnizzi che hanno tirato giù dai rami la Mitra dello scandalo? No. Bisogna colpire alla fonte. Bolla di scomunica alle... Vediamo un po'... Ma si, "Scomunica" alle gazze ladre. E per chi non ci credesse, il documento dovrà essere affisso al pino più alto del "Biancomangiare". E non se ne parli più.
Quando si tratta di difendere il buon nome dell'Istituzione, un po' di secoli fa, non si badava a spese. Detto fatto. Una bella mattina i napoletani ritrovano, su uno dei fusti della pineta, un cartello. "In nome di Dio, per la grave responsabilità che mi fu affidata in terra, nella qualità di vicario di Cristo, io, Vescovo di Napoli e delle sue province, scomunico, d'ora innanzi, tutte le gazze di questo quartiere, anzi... tutte le gazze di questa città". 
Fischi e pernacchi. In perfetto stile napoletano. 
Un episodio, un evento curioso e inquietante, finisce, però, per scuotere anche l'intramontabile voglia di "pazziare". Tre giorni. Solo tre giorni e il pino del bosco "Biancomangiare" perde, ad una ad una, le sue foglie. Ingiallisce. Si secca. E con lui tutti gli alberi della fitta pineta. Non solo. Anche le gazze dispettose finiscono per scomparire. D'un sol colpo, al posto del bosco, la leggenda popolare narra di una vasta distesa, arida e funesta: la Pignasecca. Sembra uno scherzo, ma la vicenda del vescovo sporcaccione ha finito per dare il nome ad una delle strade più antiche di Napoli. Ora di quella storia è rimasto solo un ricordo sbiadito. Non manca la battuta irriverente, non manca il sarcasmo anticlericale che, da sempre, contraddistingue i napoletani. Una sola cosa viene raccontata a bassa voce, col piglio severo, lo sguardo scuro e corrucciato: all'alba, quando ci si lascia alle spalle piazza Carità, quando si supera il mercato del pesce e il grigio Ospedale dei Pellegrini, un suono, un lamento, un grido del passato. Sono le gazze. I fantasmi della Pignasecca.

num. 151 - pag. 3 ( fonte il denaro.it)


Brutta storia. Un sant'uomo, un uomo di chiesa, forse addirittura un ves... un Vescovo. Scoperto in casa... cioè, a letto. Con la perpetua. Per colpa di una gazza. Per colpa di una stramaledetta gazza dispettosa. "In nome di Dio, per la grave responsabilità che mi fu affidata in terra, nella qualità di vicario di Cristo, io, Vescovo di Napoli e delle sue province, scomunico, d'ora innanzi, tutte le gazze di questo quartiere, anzi... tutte le gazze di questa città". Deve essere andata più o meno così. Magari un po' più sul pomposo, magari col latinorum di manzoniana memoria, magari con tanto di timbro, in cera lacca, della Curia arcivescovile di Napoli. Ma la bolla di scomunica, per tutte le gazze della salita che, da piazza Carità, conduce dritto dritto, a Montesanto, è stata emessa veramente. Affissa al pino più alto dell'antico bosco "Biancomangiare", affinchè tutti potessero vederla. Brutta storia. Brutta storia, davvero. E siamo solo all'inizio. Quello che succederà dopo, tutto quello che mezza Napoli avrà modo di vedere coi suoi occhi, è solo il prologo di una delle più simpatiche e irriverenti leggende partenopee - con tanto di fantasma, naturalmente - tramandata di bocca in bocca fino a rimanere suggellata nel nome del quartiere che ne ha fatto da scenario: la Pignasecca. Andiamo per ordine e cominciamo dalla... fine. Da quello che succede oggi e che ancora, i più fortunati, possono sentire con le proprie orecchie. Per vivere in prima persona il brivido dei fantasmi della Pignasecca bisogna fare solo un piccolo sacrificio. Svegliarsi all'alba. Tirarsi giù dal letto, quando ancora la luce non ha inondato i vicoli e le stradine di Napoli, e scivolare lungo le vie deserte quando finestre e balconi sono rigorosamente "inserrati". Allora, solo allora, quando ci si lascia alle spalle piazza Carità, quando si supera il mercato del pesce e il grigio Ospedale dei Pellegrini, un suono, un lamento, un disperato coro dalle tonalità inquietanti rischia di lasciare senza fiato anche il più impassibile dei turisti d'oltre confine. Sono le gazze. O meglio, i fantasmi delle gazze scomunicate, che cantano a Napoli il loro dispetto. La loro condanna, per cotanta crudeltà.
Alla Pignasecca c'è chi è pronto a giurare di averle sentite davvero. Ma quel lamento, quel suono amaro non piace ai napoletani, che quasi per esorcizzare la nenia malefica, ogni mattina inondano il quartiere di mille voci decise a cancellare ogni grido del passato. Che cosa è mai accaduto in una delle più popolate e popolari strade di Partenope? Cosa risveglia i fantasmi delle gazze del magico bosco "Biancomangiare". La vicenda comincia qualche secolo fa. Questa volta ripartiamo dall'inizio. Anche se date, circostanze, nomi sono coperti dal più rigido segreto. E più non bisogna "dimandare". In quei tempi Napoli, città magica e lussuriosa, vive momenti di ricchezza e voluttà. Anche i quartieri più poveri si abbandonano al sensuale torpore dei periodi migliori.
Gli amori clandestini, i pruriti irraccontabili dei figli di Partenope, non risparmiano nessuno. Meno che mai le gerarchie ecclesiastiche. Nel quartiere parallelo a Spaccanapoli, si intrecciano storie d'amore e di tradimenti, senza troppi riguardi per il sacro abito talare. Un unico inconveniente sembra perseguitare gli amanti distratti. Le gazze del bosco vicino penetrano nelle case abbandonate alle passioni e fanno incetta di tutto. Gioielli, monete d'oro, e finanche biancheria intima, scompaiono d'improvviso per riapparire, beffardi, su qualche albero della fitta pineta. Per i napoletani ci vuol poco. Chi rimane vittima dei curiosi furti non può che essere un adultero. Automatico. Ma che succede se su un pino della vergogna si ritrova una mitra vescovile, o magari il sacro anello della Curia? Il vescovo... Hai capito il Vescovo? Il vescovo e la perpetua... Giù risatine irriverenti, battute al vetriolo, volgarità irripetibili.
Le voci corrono veloci. Arrivano nelle case della "gente onesta", delle mille donne che frequentano la chiesa. Poi, addirittura in Curia. Il vescovo e la perpetua. In casa... cioè, a letto. Brutta storia. Brutta storia, davvero.
Per porre rimedio allo scandalo, riunioni e contro riunioni. Consulti e confessioni. Poi si opta per la "Bolla di scomunica". Eccessivo, ma definitivo, il rimedio sembra convincere anche la Santa Sede. Una bella, seria, sacrosanta "Bolla di scomunica". Ma indirizzata a chi? A quanti hanno esagerato con le battutacce? Alle malelingue di un quartiere troppo chiacchierone? Alle donne che hanno fatto la spia? O agli scugnizzi che hanno tirato giù dai rami la Mitra dello scandalo? No. Bisogna colpire alla fonte. Bolla di scomunica alle... Vediamo un po'... Ma si, "Scomunica" alle gazze ladre. E per chi non ci credesse, il documento dovrà essere affisso al pino più alto del "Biancomangiare". E non se ne parli più.
Quando si tratta di difendere il buon nome dell'Istituzione, un po' di secoli fa, non si badava a spese. Detto fatto. Una bella mattina i napoletani ritrovano, su uno dei fusti della pineta, un cartello. "In nome di Dio, per la grave responsabilità che mi fu affidata in terra, nella qualità di vicario di Cristo, io, Vescovo di Napoli e delle sue province, scomunico, d'ora innanzi, tutte le gazze di questo quartiere, anzi... tutte le gazze di questa città".
Fischi e pernacchi. In perfetto stile napoletano.
Un episodio, un evento curioso e inquietante, finisce, però, per scuotere anche l'intramontabile voglia di "pazziare". Tre giorni. Solo tre giorni e il pino del bosco "Biancomangiare" perde, ad una ad una, le sue foglie. Ingiallisce. Si secca. E con lui tutti gli alberi della fitta pineta. Non solo. Anche le gazze dispettose finiscono per scomparire. D'un sol colpo, al posto del bosco, la leggenda popolare narra di una vasta distesa, arida e funesta: la Pignasecca. Sembra uno scherzo, ma la vicenda del vescovo sporcaccione ha finito per dare il nome ad una delle strade più antiche di Napoli. Ora di quella storia è rimasto solo un ricordo sbiadito. Non manca la battuta irriverente, non manca il sarcasmo anticlericale che, da sempre, contraddistingue i napoletani. Una sola cosa viene raccontata a bassa voce, col piglio severo, lo sguardo scuro e corrucciato: all'alba, quando ci si lascia alle spalle piazza Carità, quando si supera il mercato del pesce e il grigio Ospedale dei Pellegrini, un suono, un lamento, un grido del passato. Sono le gazze. I fantasmi della Pignasecca.

num. 151 - pag. 3 ( fonte il denaro.it)









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