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venerdì 24 maggio 2013

El Magico Gonzalez, Santo patrono di Cadice




«È uno dei dieci migliori giocatori che io abbia mai visto in vita mia, non ci sono dubbi su questo».
(Diego Armando Maradona)

«Di Stefano, Pelé, Maradona, Cruijff, Ronaldo. Li ho visti tutti e se devo scegliere i quattro migliori giocatori di sempre tra quelli deve starci “El Magico” Gonzalez».
(Manuel Bueno, attaccante del Grande Real)

«La sensibilità che Dio diede all’uomo nelle mani, lui ce l’aveva nei piedi».
(David Vidal, direttore tecnico Cadice anni ‘80)


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Per Maradona è stato senza dubbio uno dei migliori calciatori della storia, eppure a molti di voi il suo nome non dirà nulla. Stiamo parlando di Jorge Alberto Gonzalez, detto “El Magico”, e non c’è da stupirsi se non ne avete mai sentito parlare. Perché il Magico nella sua carriera non ha vinto nulla e non ha mai militato in un grande club. Lo avrebbe meritato, ma alla gloria preferì la tranquilla vita di una città della provincia del calcio spagnolo, tranquilla si fa per dire, perché il suo punto debole era proprio la “vida loca” che amava fare fuori dal campo. Ma andiamo con ordine. 



Jorge Alberto Gonzalez, classe 1958, era nativo di San Salvador, di cui è indiscusso idolo e dove gli hanno anche dedicato lo stadio nazionale, nonostante lui sia ancora vivo e vegeto. In patria mise in mostra meraviglie già in giovanissima età, prese in mano presto la nazionale e la guidò a una storica qualificazione ai Mondiali di Spagna ‘82. La compagine salvadoregna in terra iberica fece una ben magra figura (sconfitta addirittura per 10-1 dall’Ungheria), ma il Magico si distinse sul campo da gioco tanto da figurare nella Top 11 del Mondiale targato Italia.
Automatico il biglietto per l’Europa: tuttavia tra le diverse offerte Gonzalez scelse quella del Cadice, che militava nella seconda divisione spagnola, colpito dall’interesse mostratogli personalmente dal presidente del club, a dimostrazione di come trofei e denaro non fossero la sua preoccupazione principale.

E a Cadice il Magico diventò in breve tempo un dio in campo, idolo indiscusso della tifoseria locale, tanto che ancora oggi da quelle parti può capitare di imbattersi in striscioni con scritte del tipo «San Jorge, Magico Gonzalez, Santo patrono di Cadice». Al primo anno l’estroso attaccante trascinò i suoi in prima divisione, ma la stagione seguente non riuscì a mantenerli nella massima serie. Poco importava, lui a Cadice si trovava davvero bene, e seguì la squadra in Segunda nonostante l’interessamento di club come Barcellona, Fiorentina e Paris Saint-Germain. E le avances di squadre di grande blasone saranno una costante nei primi anni di carriera europea del Magico, ma non se ne fece mai nulla, probabilmente anche per la paura delle società di portarsi in casa un fenomeno sul terreno da gioco ma un cavallo pazzo fuori dal campo. In effetti a Cadice Gonzalez si prendeva ogni genere di libertà, non facendosi mancare nulla nella sua intensa vita notturna. Si racconta addirittura che per non farsi scoprire dai dirigenti della società che gli davano la caccia nella notte per riportarlo a letto, usasse nascondersi e dormire nella cabina del dj dei locali che frequentava.
«Lo ammetto, non sono un santo. Amo uscire la notte e fare party, e neppure mia madre potrebbe dissuadermi dal farlo. Non mi piace guardare al calcio come a un lavoro, se lo facessi non sarei me stesso. Gioco solo per divertimento», affermò una volta. Ma i tifosi del Cadice badavano al sodo, e il salvadoregno dai capelli lunghi e il fisico esile in campo sapeva dare del “tu” al pallone come nessun altro.

«Tecnicamente era migliore di Maradona. Una volta fece 30 palleggi di fila con una pacchetto di sigarette»: sono parole di David Vidal, suo direttore tecnico all’epoca, che aggiungeva: «ma un grande calciatore non è solo tecnica: deve avere anche strategia, preparazione fisica e tattica. È questo che gli mancava». Al Magico tutto ciò non interessava, «non ho mai considerato me stesso come un esempio da seguire», a lui interessava divertirsi in campo e fuori, e far divertire i propri tifosi. 

Come quella volta nel 1983 al trofeo Carranza, quando il suo Cadice doveva affrontare il Barcellona. Il Magico, vittima dei postumi della serata precedente, pensò bene di non presentarsi allo stadio in tempo per la gara, e arrivò solamente nell’intervallo. I suoi erano in svantaggio per 3-0, il mister Joanet lo buttò in campo nella ripresa e lui prese per mano la squadra. Due gol, due assist, e vittoria per 4-3 del Cadice.

In realtà a Cadice ad un certo punto decisero di liberarsi di lui, cedendolo al Valladolid, ma qui il Magico, pedinato 24 ore su 24, si sentiva soffocare, e ottenne di tornare al Cadice, la sua dimensione. Anche se a livello tecnico i palcoscenici che avrebbe meritato sarebbero stati ben altri, come dimostrò in una tournée estiva che disputò con la maglia blaugrana. Al fianco di Maradona e Cruijff, il Magico incantò la platea rubando la scena addirittura a Diego: dribbling, gol, elastici, rabone e quant’altro. Tutto ciò però non gli bastò per ottenere un contratto dai dirigenti catalani che non si fidavano del suo stile di vita. Come quando in California, nel corso della tournée, scattò l’allarme anti-incendio dell’albergo e lui fu l’unico a non lasciare l’hotel. Lo trovarono a letto con una ragazza e spiegò di non essere scappato perché non aveva ancora finito.

Gonzalez infatti non aveva nessuna intenzione di cambiare il suo stile di vita, neppure una volta ritiratosi dal calcio giocato. Basti pensare che, appese le scarpette al chiodo, fu assunto come vice allenatore a Houston, Stati Uniti. Qui il Magico si annoiava, e allora decise che nel suo tempo libero avrebbe fatto il tassista. Detto, fatto: con il suo taxi scarrozzava la gente per la città semplicemente perché amava farlo. Esattamente come amava dormire a lungo, tanto che gli allenamenti saltati per questo motivo nella sua carriera furono innumerevoli. Si racconta che pure il giorno del suo cinquantesimo compleanno il Magico lo abbia trascorso facendo ciò che tanto amava: dormendo tutto il giorno.




su segnalazione dell' osservatore Pierpaolo De Pasquale

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