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martedì 19 febbraio 2013

NAPOLI, LE BANCHE DELL' ACQUA

                                 

“Chi vo’ vevere, che è fredda!”
era il richiamo che fino a non molti anni fa, si poteva udire nelle strade del centro storico. A pronunciarlo erano i noti acquaiuoli, figure oggi abbastanza rare, che gridavano a squarciagola per richiamare clienti nelle afose giornate napoletane. Le “banche dell’acqua” in città erano sparse un po’ dappertutto, circondate da bottiglie, limoni e arance. Le più importanti godevano di un’ampia offerta, dall’acqua ferrata proveniente dal Serino a quella ricercata di Telese dal sapore di uova marce. Diversi erano gli acquedotti che fornivano di acqua Napoli: quello della “Bolla” era il più antico, risalente all’epoca greca; del XVII secolo era il Carmignano e in città erano note le fonti di Santa Maria La Nova e del Leone a Posillipo. La più famosa delle acque napoletane era senz’altro la “zuffregna”, la sulfurea che sgorgava a Santa Lucia. Veniva servita fredda come la neve e conservate in piccole anfore di creta, dette “‘e mummarelle”. Un “piatto forte” anche per l’ultima, vera, acquaiola napoletana che si ricordi: la cosiddetta Zì Nennella, oggi 91 anni, che aveva il suo memorabile banco di marmo in piazzetta Teodoro Monticelli, davanti al Palazzo Penne del 1402. ”Andavo a prendere ogni giorno l’acqua all’acquedotto a via Costantinopoli: l’acqua del Serino, in zona, ce l’avevo solo io – racconta l’acquaiola, che ha smesso l’attività solo nel 2003 per una brutta caduta. – L’acqua e limone, con zucchero o bicarbonato, la vendevo a 10 lire. I miei clienti erano soprattutto stranieri: tedeschi e belgi. Ma una volta è venuto qua anche il Presidente Zavoli”. Nel quartiere la “zia” è un’istituzione; rispettata da tutti e venerata dai più giovani. Il suo vero nome, S. Vincenza, per anni è rimasto ignoto. Prima di lei sua madre aveva avuto quattro figli, tutti morti. Così, “per scaramanzia”, la sua quinta figlia doveva essere semplicemente chiamata “‘a Nennella”, ovvero “la bambina”. La chiamavano in questo modo persino a scuola, “l’Elena di Savoia dove ho imparato a parlare italiano”, precisa, e così la nominava anche la “comara” con la quale è cresciuta. La “banca”, Vincenza l’aveva ereditata dalla nonna. V’incominciò a lavorare prestissimo, all’inizio dell’adolescenza; oltre all’acqua e alle limonate vendeva anche “‘o petrusino”, il prezzemolo, e le “rattatelle”, le granite ricavate da un blocco di ghiaccio. Non si è mai sposata, sebbene fosse considerata una bella ragazza e i pretendenti non mancassero. Molti clienti, racconta, aspettavano che al banco si calasse a prendere l’acqua per poterle sbirciare il seno e una volta un fotografo la immortalò di nascosto mentre si stava mettendo il rossetto. Nel suo stesso palazzo aveva abitato per un certo periodo Matilde Serao, fondatrice de “Il Mattino”, sofferente d’amore a causa del marito “svelto”, come Nennella lo definisce, Eduardo Scarfoglio.

http://www.lucianopignataro.it/

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