L' INCONTRO
di MICHELA MURGIA
A Maurizio non veniva cosí facile dire «noi», perché non c’è plurale nel mondo di un figlio unico, educato dalla solitudine a diventare per sempre l’unica misura di sé stesso. A Crabas col «noi», invece, bisognava farci i conti, perché i suoi nonni, i vicini di casa dei nonni, i loro figli e i bambini dei loro figli parlavano tutti di sé al plurale con la ronzante fluidità di uno sciame d’api intorno all’alveare [...].
Ma era soprattutto dagli altri ragazzi che Maurizio sentiva usare il noi con quell’accezione densa, piena di respiri comuni.
«Non ci diamo proprio per vinti, eh?» gli aveva detto una volta Giulio, il figlio del vigile urbano, mentre lo guardava con la fionda stretta tra le mani prendere per l’ennesima volta la mira sulla lattina vuota poggiata in piedi sull’argine dello stagno, proprio dietro alla chiesa di Santa Maria.
Maurizio aveva distratto gli occhi dal bersaglio e aveva fissato il ragazzo piú grande per qualche istante, come se anche la risposta richiedesse una buona dose di mira. A diventare amico di Giulio ci aveva messo piú di dieci giorni, e ora rischiava di giocarsi tutto in un istante. Con il cuore che gli batteva forte dalla paura di sbagliare, aveva mormorato spavaldo:
«Non siamo mica gente che si arrende, noi».
Giulio a quel punto gli aveva sorriso e poi il sasso lanciato dalla fionda era andato dritto sulla lattina, facendola cadere giú dal costone dell’argine con un suono acuto e pieno di riverberi. Il ragazzo piú grande aveva mormorato un’imprecazione passandosi una mano nei capelli scuri con un gesto incredulo, poi lo aveva applaudito forte.
(...) "....Alberi genealogici spuntano di continuo dal fuoco, dal vino, dalla colpa e dall' acqua santa. Eppure neanche quei rituali millenari vincolano la memoria del cuore quanto il gioco dei bambini celebrato insiem
e per
strada.Non c’è stato di famiglia che possa vincere la battaglia contro i
pomeriggi di sole estivo in cui si è riusciti a infilare il primo
pallone in porta tra le grida dei compagni, o liberato insieme una
libellula gigante entrata per sbaglio in un retino per farfalle. Cosa
può il richiamo del proprio sangue contro la consapevolezza di essere
stati la causa involontaria del primo sangue sgorgato dal ginocchio di
un amico? Nessun Natale trascorso in famiglia compete dentro all’anima
con il vento in faccia di certe discese in bicicletta senza mani, col
riflesso della treccia scura che dondola sulla schiena della bambina piú
bella o con la rovente vergogna di un giornale per grandi trovato tra
gli sterpi e sfogliato insieme in silenzio, attoniti. In quelle
verginità perdute c’è il segreto patto dei veri complici, il potere
normativo delle prime consapevolezze comuni, contro le quali non esiste
famiglia che possa pretendere maggiori diritti. Così li senti davvero
certi adulti nei bar, uomini fatti e disfatti mille volte dalla vita,
vantarsi ancora tra di loro dei legami dell' infanzia - abbiamo fatto il
gioco insieme - come di un parto condiviso."
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