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lunedì 23 gennaio 2012

Schettino e De Falco: le due facce di un italiano

Girando un po su Fb ho trovato questa nota di Roberto Del Bove..Se avete due minuti fermatevi a leggerla...Meditate gente meditate...





I “crucifige” non sono mai un buon segno: sono indicatori di rabbia diffusa tra la popolazione, di tensione latente nei gangli della società civile, di sopportazione giunta allo stremo. Tuttavia, nella sua condannabilità, il processo mediatico al comandante Francesco Schettino è comprensibile. Forse un po’ eccessivo, certo, ma è difficile trattenere la rabbia di fronte alla morte di persone innocenti, accostata grottescamente ad un simile ammasso di incompetenza, codardia e faccia tosta (sarebbe buon gusto, di fronte all’evidenza delle prove, ammettere almeno le proprie colpe; ma questo non è nelle corde del comandante di Sorrento). Tuttavia, se guardiamo dall’altro lato, vediamo un altro fenomeno di esasperazione poco edificante e che non direi tipicamente italico, ma decisamente post-moderno (e, in quanto tale, globalizzato). Mi riferisco all’insopportabile e pomposo “Magnificat” rivolto dagli italiani al Capitano della Guardia Costiera Gregorio De Falco. Il quale, suo malgrado, nel giro di poche ore è stato proclamato “eroe” per il suo autoritario (e impeccabile, direi) “Salga a bordo, cazzo!”. Ma è davvero questo che rende un eroe tale? “Beato il popolo che non ha bisogno di eroi”, scriveva Bertold Brecht. L’Italia stanca, inginocchiata dalla Crisi e derisa da vent’anni di berlusconismo, sembra invece averne un disperato bisogno. E questo è un pessimo sintomo.



Diciamocelo: può suonare un po’ superficiale, ma la verità è che De Falco ha una faccia pulita, sembra una brava persona e ha fatto il suo dovere. Questo è il punto. Fare il proprio dovere, in Italia, è un atto eroico? Sembrerebbe proprio di sì, e questo modo di pensare – lo dico senza antipatriottismo - è davvero qualcosa di tipicamente italiano. D’altro canto è (superficialmente) innegabile: Schettino ha una faccia da fanfarone con i capelli impomatati, un’aria da gradasso e – come confermato da diversi suoi colleghi – un pressapochismo e un’arroganza di rara fattura. Aggiungiamo al calderone le registrazioni telefoniche che tutti noi abbiamo sentito in questi giorni, e risulterà chiaro perché gli italiani odiano Schettino dal profondo. Non bisogna dimenticare questo, però: che il signor De Falco aveva le natiche comode e al caldo sopra una sedia della Capitaneria di Porto; Schettino, invece, aveva il culo bagnato dall’acqua e punzecchiato dagli scogli. Senza contare il peso sulla coscienza di una nave con oltre 4mila persone alla deriva. Lungi da me difenderlo. Schettino ha sbagliato ogni mossa possibile: ha cambiato rotta nella direzione sbagliata, alla velocità sbagliata; non ha dato l’allarme in tempo; ha abbandonato la nave per primo; ha mentito reiteratamente alla Capitaneria sull’entità del danno, ritardando i soccorsi e portandosi così dei morti sulla coscienza. Insomma, quanto di peggio si può immaginare. Ma se dovessi giurare che la sua codardia sia davvero “rara”, non potrei farlo.


Non concordo con il parere di alcuni giornalisti, i quali spiegano il processo pubblico ai danni di Schettino come un’inconscia pratica che gli italiani hanno adottato per esorcizzare lo Schettino-che-è-in-loro. Lo stereotipo dell’italiano spavaldo nella commedia e vile nella tragedia è ripugnante e avvilente, e perpetuarlo noi stessi è segno di facile misantropia. Ma – parafrasando a modo mio il concetto espresso in un articolo da Francesco Merlo – posso dire questo: che con il sedere caldo tutti ci saremmo comportati come De Falco. Con il sedere bagnato, invece, è probabile che alcuni si sarebbero comportati come Schettino. Ogni italiano ha due facce – il ligio De Falco da una parte, il vile Schettino dall’altra. Ma nessuno è predestinato. Sono solo le scelte che si compiono nelle difficoltà a rivelare in maniera inequivocabile il lato di ognuno di noi che, in qualche modo, riuscirà ad oscurare il suo opposto.

R. D. B.


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