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martedì 29 marzo 2011

Una notte, il mare e... così si incontrarono Dalla & Caruso

Un libro racconta la genesi di una delle canzoni più note del cantautore Emiliano. Che dice: "l'ho scritta per caso, dopo che la mia barca era rimasta in panne".

Un tenore agli ultimi giorni di vita. Il motore di una barca che si ferma. La realtà che sfuma nella leggenda. E un cantante pronto a raccontarla. 

La genesi di Caruso di Lucio Dalla, una delle canzoni italiane più famose nel mondo con oltre cinquanta milioni di copie vendute, è un arabesco affascinante che dura un secolo e rimane sospeso tra Sorrento, Bologna e New York. I protagonisti, oltre allo stesso Dalla, sono il tenore Enrico Caruso, primo cantante a vendere un milione di copie di un disco (E lucean le stelle, dalla Tosca di Puccini), una stanza di hotel affacciata su un golfo e una ragazza senza nome. Ora un libro,Caruso. Lucio Dalla e Sorrento. Il rock e i tenori di Melissa Massei Autunnali (Donzelli, pp. 154, euro 17) ricorda i venticinque anni della canzone, presentata al Village Gate di New York il 23 marzo 1986, e i novant'anni della scomparsa di Caruso, stroncato da una malattia ai polmoni, il 2 agosto del 1921, a 48 anni. Dalla, attualmente in tour con Francesco De Gregori (domani, 26 marzo, a Conegliano, il 28 a Cremona), ricorda i giorni in cui nacque la canzone con un misto di ironia e fatalismo: "Caruso? Cominciò tutto in modo del tutto casuale, grazie a un'incredibile serie di coincidenze. Come quasi sempre accade in questi casi...". 

Partiamo dall'inizio: come le venne l'idea di scrivere un pezzo musicale su Enrico Caruso?
"Ero in barca tra Sorrento e Capri con Angela Baraldi: stavamo ascoltando le canzoni di Roberto Murolo quando ci si ruppe l'asse del motore. Andammo a vela per qualche miglio e poi chiamai un amico, il proprietario dell'Hotel Excelsior Vittoria, che ci trainò al porto. In attesa che aggiustassero la barca, ci invitò a passare la notte in hotel, proprio nella suite dove morì Caruso".

E lì trascorse la notte tra gli oggetti appartenuti al tenore...
"Sì, c'era tutto, anche il pianoforte, completamente scordato. Quella sera un altro amico, giù al bar La Scogliera, mi raccontò di un Caruso alla fine dei suoi giorni, innamorato di una giovane cantante cui dava lezioni. Era uno stratagemma per starle vicino, ma l'ultima sera, sentendo la morte arrivare, fece portare il piano sulla terrazza e cantò con un'intensità tale che lo sentirono fino al porto".

Su quella base reale mise un pizzico di leggenda...
"Mi sono inventato la scena dei suoi ultimi momenti, quando pensa alle notti là in America. Era un passaggio che nel 1986 per me, che stavo per partire per un tour negli Stati Uniti, aveva un significato particolare". 

In venticinque anni, Caruso è stata reinterpretata centinaia di volte: da Pavarotti a Céline Dion, da Andrea Bocelli a Richard Galliano... 
"C'è stata anche la versione di Mercedes Sosa, bellissima, ma io ne ho ascoltata perfino una in chiave reggae. E qualche anno fa, in Corea, me ne hanno fatto sentire una addirittura in coreano. Surreale".

Ma qual è la sua versione preferita?
Adesso, ogni anno Caruso viene ricantata da qualcuno, soprattutto nei mercati di lingua inglese...

"Sì, e ogni volta vende sei o sette milioni di copie. L'ultima è stata la versione di Josh Groban, un cantante americano, ma l'hanno cantata anche i tenori del gruppo inglese Il Divo. In generale, soprattutto all'estero, è ormai considerata alla stregua di un'aria d'opera". 

Infatti dentro ci si ascolta anche la sua passione per Puccini...
"Assolutamente, e lo rivendico: sono un pucciniano, come Miles Davis, che invidiava le grandi capacità compositive di Puccini. Lui e Mahler sono i due artisti che hanno dato il via alla modernità".

Nel ritornello c'è anche un evidente riferimento a un classico della canzone napoletana: Dicitencello vuje di Falvo e Fusco. Perché?
"Perché per me quel Te vojo bene assaje messo in quel punto della canzone significava darle il marchio della napoletanità. Da sempre nutro una grande passione per Napoli, per la sua cultura, dalla scrittura alla filosofia fino alle canzoni: è una città che mi ha sempre catturato".

In un passaggio di Caruso, canta: Potenza della lirica, dove ogni dramma è un falso. Eppure la vita del tenore fu davvero drammatica, dall'infanzia povera fino alla morte a 48 anni...
"Sì, anche se lui ci mise del suo per complicarsi la vita: nel 1906 venne accusato dalla polizia di aver palpeggiato una signora a Central Park, fu processato e ne uscì solo pagando un indennizzo. Ma la cosa più drammatica gli accadde nella sua Napoli".

Perché?
"Caruso fu fischiato una sola volta in tutta la sua vita e successe a Napoli, al San Carlo, durante L'elisir d'amore di Donizetti. Un evento traumatico che gli fece giurare che non avrebbe mai più cantato per i napoletani. Mantenne la promessa".

Anche la fine del tenore è circondata dal mistero. Morì a Napoli o a Sorrento?
"Anche qui siamo a metà strada tra leggenda e realtà: per quello che ho appreso io, Caruso si spense al Vittoria, ma per non dover pagare le gabelle in voga in quegli anni, venne messo su una barca, fingendo fosse ubriaco, e fu portato all'Hotel Vesuvio, a Napoli, dove, ufficialmente, morì".

Lei è attualmente in tour con De Gregori e Caruso è sempre in scaletta. Qual è la reazione del pubblico?
"Straordinaria. Io però, siccome sono un po' bastardo, in concerto non la eseguo mai in versione standard: faccio il primo inciso con una tonalità più bassa, creo pathos, per dare più intensità al pezzo. Ma quando esplode il ritornello, soprattutto nei concerti al Sud, sono praticamente costretto a farlo cantare al pubblico. Appartiene a loro..."


fonte: Il Venerdì di Repubblica
ilmiolibro.it

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