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venerdì 9 marzo 2012

CALCIO SENZA BARRIERE,in LIBANO squadra di calcio RISERVATA AGLI INVALIDI DI GUERRA

A Sidone c’è una squadra formata dai mutilati da mine e bombe a grappolo. Atleti che hanno trasformato la disabilità in energia e che se la giocano quasi alla pari con i normodotati.
«Il dramma ha fatto di noi una famiglia. Ora ci sentiamo parte integrante della società»


Ali Srour ha 29 anni ed è laureato in Giurisprudenza. Nel 2001 durante una gita nei dintorni del suo villaggio, Aita al-Shaab, presso la frontiera con Israele è sconfinato senza accorgersene in un campo minato e ha perso il piede sinistro. Nazih Saab, 45 anni, sposato con figli, è un militare in pensione che giocava nel Jeitawi- Rauda. Nel 1991, dopo aver salvato un gruppo di bambini da un campo minato a Beirut, ha calpestato un ordigno. Shadi Awwad, dipendente comunale, invece ha 31 anni e non ha memoria dell’integrità del suo fisico: i genitori gli hanno raccontato che nel 1982, durante l’invasione israeliana in Libano, un missile è caduto sulla loro casa e una scheggia gli ha spappolato la gamba destra sotto il ginocchio. I rispettivi drammi li hanno riuniti: oggigiocano insieme a calcio a 5 nella «Squadra dei sopravvissuti alle mine».

In contropiede
Come si capisce già dal nome, non è un club qualsiasi,ma una squadra eccezionale, unica in MedioOriente, una delle due o tre del genere nel mondo. I suoi giocatori sono di tutte le età, le classi e le regioni del Libano, e tutti sono vittime dimine o bombe a grappolo lanciate da Israele dopo l’invasione del 1982 fino alla più recente nel 2006. Ogni mercoledì pomeriggio si ritrovano per gli allenamenti allo stadio Bonbastic di Sidone e sembrano una squadra normale: solo quando ci si avvicina ci si accorge delle loro menomazioni. Forse per questo quando affrontano squadre di normodotati regolarmente li sorprendono. «All’inizio della partita gli avversari sono sempre un po’ cauti - dice a Extra Time Osama Faqih, specialista in protesi -. Ma dopo una decina di minuti si rendono conto di avere di fronte degli avversari forti». E a quel punto magari sono già sotto di due gol.

La presidentessa
Del resto lo slogan dell’Associazione libanese per il benessere delle persone disabili è proprio «Trasformare la disabilità in energia». «L’idea di formare questa squadra è stata di Randa Berri, moglie di Nabih, presidente del Parlamento libanese - ci racconta il coordinatore amministrativo Ali Nur Eddin -. Dopo il 2000 il numero di mutilati di guerra,militari o civili, è aumentato in modo esponenziale a causa delle bombe a grappolo sganciate sul Libano. L’Associazione provvede a tutte  le spese per le protesi dei giocatori e il seguito delle cure, per il materiale sportivo e i trasferimenti da Beirut, Marun el-Ras, Jezzine, Shehabiyé, Aita el-Shaab, Ansar, Ansariyé e Tiro a Sidone o nelle località dove si giocano le partite». La rosa è composta da 11 elementi di età compresa fra i 18 e i 45 anni,ma il gruppo sportivo nel complesso comprende più di venti atleti che praticano tiro con l’arco, salto, nuoto e corsa.

Battuta l’Unifil
BashirAbdel-Khaliq, l’allenatore della squadra, spiega le difficoltà incontrate nell’indossare gli arti artificiali, «che cadono o si staccano per via dei movimenti bruschi o degli scontri di gioco. Ma - aggiunge orgoglioso - i miei giocatori hanno imparato a trasformare in virtù la necessità di restare in equilibrio senza appoggio». Così non è raro che la Squadra dei sopravvissuti metta a dura prova quelle dei normodotati che via via affronta, e che a volte addirittura vinca. «Abbiamo giocato parecchie partite in questi 10 anni contro la squadra dell’Esercito libanese e delle forze Unifil - racconta il dottor Abdel-Khaliq -. Nel 2009 allo stadio Ansar abbiamo sfidato il personale delle ambasciate di Gran Bretagna, Australia e Norvegia, vincendo con un grande risultato, mentre al ritorno abbiamo perso di un gol a causa dell’erba troppo alta che faceva scollegare le protesi. Infine abbiamo partecipato al campionato aziendale libanese, vincendo una partita, perdendone un’altra e pareggiando la terza.Alcuni dei nostri giocatori hanno anche partecipato aiGiochi Paraolimpici, arrivando a medaglia ».

Il venditore di tappeti
Tra questi c’è uno dei più forti giocatori della squadra, Hosein Ghandur, 35 anni, sposato con figli e impiegato lui stesso nel campo degli arti artificiali: le bombe a grappolo gli hanno portato via la gamba e la mano destra, eppure lui ha rappresentato con successo il Libano a Sydney 2000 (primo atleta paraolimpico del Paese), in Algeria e in Tunisia. Ali Srour, quello che finì nel campo minato al confine con Israele, invece ha partecipato al X Campionato arabo di atletica in Marocco e ha vinto la medaglia d’oro nella corsa. «Dopo l’infortunio ovviamente non è più come prima - dice -. Con la protesi ad esempio la potenza del tiro è nettamente diminuita. Ma quello che facciamo solleva il morale, soprattutto perché giochiamo quasi alla pari con i normodotati. Il messaggio è che, nonostante la nostra disabilità causata dalla guerra, viviamo normalmente e sfidiamo le squadre normali». «Partecipiamo anche a tornei all’interno delle università», aggiunge fiero Muhammad Al-Hajj, 45 anni, difensore e disoccupato da quando nel 1992 una mina gli ha portato via entrambi i piedi: faceva il venditore ambulante di tappeti. «Io mi sono unito al gruppo nel 2003 - racconta il portiere Shadi Awwad, quello che perse la gamba destra a un anno e mezzo -. Praticando la corsa, il nuoto e il calcio ho conosciuto altri atleti come me e ora siamo diventati una famiglia: lo stesso problema ci accomuna e ci sentiamo parte integrante non solo dello sport, ma anche della società, perché giochiamo e vinciamo o perdiamo contro squadre normali». «Questa squadrami hadato una nuova vita - testimonia Nazih Saab, l’ex militare, attaccante -. E il più felice di tutti è mio figlio Tony che non si perde una delle nostre partite».

L’Osama buono
«Dopo l’amputazione, all’inizio per questi ragazzi è molto dura - conclude Osama Faqih - e il primo intervento è soprattutto sul piano psicologico. Poi inizia il trattamento al centro di Sarafand che comprende la fisioterapia. La parte più difficile è accettare il nuovo status. Anche l’applicazione della protesi ha una prima fase, che richiede circa un mese e mezzo, dopodiché viene impiantata quella definitiva.Mapoi si arriva a sfidare la gente comune, ed è proprio questo che rende i nostri ragazzi di nuovo fiduciosi in se stessi e felici: potersela giocare con quelli normali».

FONTE la gazzetta dello sport



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