«Raro» al lavoro |
Facciamo un giro per i muri che ti sembrano più importanti, quelli con i disegni più belli? «I muri importanti sono quelli che si possono ancora dipingere», risponde Gianluca, coerente con la sua battaglia per ottenere uno spazio legale «dove uno può stare tranquillo». Sperimentare, crescere, fare scuola. «Quando dipingo arrivano per primi i bambini, io cerco di coinvolgerli, perché qui alla fine hanno solo il pallone». Non importa se fanno dei pois sbilenchi su una bella scritta su fondo azzurro e drago che sbuca. Il lavoro del writer è spesso collettivo e didattico. Ma se il muro è «rubato», c’è sempre il dubbio che s’affacci la signora del piano di sopra e si metta a gridare. «Anche se a volte qualcuno mi dice: "Che bello!"». «Se c’è il rischio che mi caccino - continua Raro -, sono costretto a cercarmi uno spazio secondario, dove nessuno mi vede». E alla fine non si nota nemmeno il graffito. Con poco tempo, poi, non si lavora bene: «Finisce che fai solo uno scippo», un segno veloce, «e te ne vai».
Gianluca guida per Scampia indicando la sua tag, la firma che s’affaccia tra i palazzi e dietro agli angoli, e alla fine svolta su via Hugo Pratt. Qui, nel marzo di un 2005 elettorale, con il via libera delle autorità, arrivarono 48 writer a dipingere 167 metri di grigio (così è chiamata la zona, «la 167», dal numero della legge per l’edilizia popolare). Tra questi c’era Army, oggi 28 anni, che con Raffo e Deor ha regalato al quartiere un’opera-simbolo: le Vele che degradano dal grigio verso i colori accesi della figura dominante, la bimba con la margherita. «Un’immagine apparsa su giornali e siti Internet - scrive Army in un’email -, qualcuno l’ha usata come copertina del proprio libro, qualcuno ha girato dei video (il gruppo Co’Sang per il brano Int’o rion). Ma la soddisfazione più grossa, l’unica, sono stati i ragazzini che l’hanno usata come sfondo per le foto di Comunione e compleanni».
Ha un significato particolare disegnare a Scampia? «Non pensate al ghetto del tipo americano», che viene in mente per i rapporti tra graffitari e hip hop, per i cappucci e le felpe extralarge, per le suggestioni da Figli di un Bronx minore (la raccolta di racconti di Peppe Lanzetta del ’98). Per Army il lavoro nel Nord napoletano «non è legato al desiderio di riscattarsi da una condizione di emarginazione». «Si arrivava a Scampia - spiega lui che viene da Secondigliano, poco distante - alla ricerca di un muro disponibile». Non è tanto la voglia di farsi conoscere, quanto la spinta più artistica di «usare lo spray». Come Maria, che ha adoperato la bomboletta per scrivere sulla vostra opera «Ti amo Carmine»? «Non saprei neanche da che parte iniziare per farle capire che questo non è rispetto». Così come non gli sembra civile l’abitudine, diffusa tra crew «rivali», di coprirsi a vicenda.
Vista dall’angolazione dell’educatrice, però, quella di Chiara Ciccarelli, è anche «un interessante modo di osservare la canalizzazione della violenza tra giovani che non si esprime concretamente, ma su azioni di cross: disegnare sui graffiti degli altri». Chiara tiene affettuosamente d’occhio i ragazzi, writer compresi, dal Centro territoriale Mammut, un’oasi nel deserto della piazza ex Grandi Eventi di Scampia (distesa di mattonelle senza alberi che è anche il più vasto mercato di droga a cielo aperto d’Europa). Una boa a cui s’aggrappano bambini, adolescenti, famiglie intere, tra corsi, laboratori e feste. Una di quelle realtà in cui si vedono germogliare i semi sparsi da Felice Pignataro, l’artista de «L’utopia sui muri», a Scampia nel ’72, fondatore nell’81 del Gridas (Gruppo di risveglio dal sogno), morto nel 2004 prima di riuscire a vederne i frutti. «Molte persone hanno raccolto, senza che lui lo sapesse - dice la moglie Mirella -. Più che nel dipingere, nella maniera di vivere». Nelle scuole, ma anche sui muri ai margini delle strade ci sono ancora i girotondi di Felice, ma stanno scolorendo. «Abbiamo deciso di non intervenire sui murales - spiega Mirella -: sono una maniera rapida di comunicare qualcosa a qualcuno in quel momento. Affidare ai muri il messaggio corrisponde anche alla scelta di non fare un’opera per l’eternità. Gridare dai tetti la verità che senti dentro», e lasciare che si diffonda. Come un passaparola, in cui i segnali cambiano a seconda di chi li recepisce.
Un pezzo di muro in via Hugo Pratt (foto di Alessandra Coppola) |
Monica Riccio, che ha disegnato da bambina con Pignataro, adesso studia all’Università ed è una cantante di indie-rock conosciuta nel quartiere, nonché fidanzata di Gianluca, che la interroga: che cosa pensi di graffiti e murales a Scampia? «Sono una bella forma d’arte - risponde lei -. Mi piacciono se sono colorati, perché c’è già troppo grigiore, se riescono a trasmettere qualcosa».
Ma è arte davvero? Cyop&Kaf, i più conosciuti street artist napoletani hanno cominciato così, con la storica KTM, per arrivare poi a sperimentare tecniche diverse, fino alla ceramica raku, raggiungendo quotazioni di tutto rispetto. «Non c’è differenza - risponde uno dei due (niente nomi) - è un prosieguo: c’è chi si ferma solo al graffito chi vuole andare avanti». Il marchio d’origine non si rinnega: «Sono esperienze che ti avviano, fanno parte del percorso». KTM resta «come un tatuaggio, qualcosa che c’è ancora». Meglio la periferia o i l centro per lavorare? «Ovunque va bene», luoghi come Scampia «si prestano perché hanno più spazi, ma non significa poterlo fare più tranquillamente, anzi a volte ci sono più problemi in periferia dove un muro grigio viene difeso come un monumento...». Favorevole ai graffiti legalizzati? «Gli spazi vanno conquistati, i permessi sono buoni se arrivano, ma non bisogna starci troppo appresso». Certo, «non mi sentirei di dire a un ragazzino che inizia: fallo ovunque. Capisco il bisogno di avere un posto dove potersi allenare». Il problema è che manca «un’istituzione fisica a cui chiedere». E alla fine, «fai prima a fare il disegno», lanciare il seme e lasciare che si trasformi in fiore.
Alessandra Coppola
26 aprile 2011(ultima modifica: 27 aprile 2011) corriere.it
26 aprile 2011(ultima modifica: 27 aprile 2011) corriere.it
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