La squadra abruzzese è l'ultima tappa di una carriera mai banale, anche se spesso avara di successi. Perché il boemo è uno dei pochi allenatori che anche se non vince lascia il segno, nel bene e nel male
MAESTRO E ALLIEVO — Dai "quasi playoff" di LegaPro ai "quasi playoff" di B il salto non è male. Il Foggia e il Pescara hanno avuto questo in comune, nell'ultimo campionato, oltre al gioco brillante. Zeman, quindi, arriva in una squadra che già sa come divertire. C'è di più, perché Di Francesco, l'ultimo tecnico degli abruzzesi, da calciatore era uno dei pilastri della Roma allenata dal boemo, tra il 1997 e il 1999: centrocampista di sinistra nel magico 4-3-3, con licenza di segnare. Curioso, insomma, questo intreccio tra allievo e maestro. Senza dimenticare che, a proposito di spettacolo, al Pescara ha fatto scuola uno come Giovanni Galeone, altro tecnico dal gioco spumeggiante.
LO SCHEMA — Ma Zeman è Zeman, e farà sempre discutere. E' così da quando è in Italia, praticamente. Tralasciando l'esperienza al Licata e al Messina, è dai tempi del Foggia e di "Zemanlandia" (che è diventato anche un documentario), che il suo gioco ultra-offensivo è diventato un marchio di fabbrica. Gli allenamenti sui gradoni dello stadio, i terzini che spingono e la difesa altissima, tre punte agili e un regista, fulcro della manovra; queste, le chiavi di uno schema, il 4-3-3, che non cambia mai.
POLEMICHE — Ascese e cadute, a volte rovinose. La questione doping nel calcio tirata fuori nell'estate 1998, le accuse alla Juventus e le repliche piccate di Vialli e Del Piero; ma anche le annate buie al Napoli, all'Avellino, in Turchia e alla Stella Rossa, a sancire un crepuscolo bloccato dal già citato rientro a Foggia. E poi le dichiarazioni sempre fuori dagli schemi. O si ama o si odia, Zdenek Zeman, uno che a 64 anni tenta l'ennesima ripartenza, e che pur non avendo mai vinto nulla ha sempre lasciato un segno. A Pescara vedremo cosa penseranno i tifosi.
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